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Belluno, chiesa di s. Stefano, 7 agosto 2016
“Un samaritano, che era in viaggio, ne ebbe compassione e si prese cura di lui”. Fu generoso quel samaritano! Era in viaggio. Probabilmente prima di partire aveva programmato il viaggio entro un certo tempo, aveva calcolato di arrivare là dove era diretto nel dato giorno, alla data ora; e accettò invece di arrivarvici dopo, in ritardo rispetto al programma prestabilito. Si fermò ai bordi della strada ove giaceva mezzo morto un uomo aggredito dai briganti, ed ebbe cura di lui.
Il prendersi cura del fratello, della sorella, è la grande cosa da fare, la grande opera di misericordia da compiere. Essere gli uni custodi degli altri. Papa Francesco impostò l’omelia della sua Messa di inizio pontificato proprio sul tema della custodia; disse: “Custodire vuol dire avere cura l’uno dell’altro, avere cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono alla periferia del nostro cuore. Custodirsi reciprocamente: in famiglia i coniugi si custodiscono l’un l’altro, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. Custodire è vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo; tutto è affidato alla cura dell’uomo per l’uomo”.
Il papa continuava nella sua omelia: “Occorre custodirsi e avere cura gli uni degli altri con amore, con tenerezza. Anche con tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. No, non dobbiamo avere paura della bontà, della tenerezza! Usiamoci tenerezza!”
Di certo possiamo immaginare che il buon samaritano abbia con tenerezza, con cura e delicatezza versato vino e olio sulle ferite dell’uomo assalito dai briganti; e con cura e tenerezza abbia fasciato le sue piaghe, mentre con tenerezza gli avrà parlato per confortarlo, per consolarlo, per incoraggiarlo e dargli speranza…
Avere cura gli uni degli altri impedisce di cadere nell’indifferenza, nella chiusura in se stessi, nel proprio egoismo.
Ancora: nell’omelia della Messa di inizio pontificato papa Francesco esortava a un passo avanti chi lo ascoltava; disse: “Ma per ‘custodire’ i fratelli dobbiamo avere cura di noi stessi. Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire allora vuol dire vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive, quelle che costruiscono e quelle che distruggono.”
E’ quanto mai opportuno questo richiamo del papa: si è custodi degli altri nella misura in cui si è custodi di se stessi; si è capaci di prendersi cura dei fratelli in proporzione che ci si prende cura della propria anima, del proprio cuore, dei propri sentimenti, del proprio mondo interiore; cioè nella misura in cui si coltiva il proprio mondo interiore per renderlo buono, compassionevole, attento, tenero, generoso, pronto ad amare, a capire, ad ascoltare, ad aiutare.
Il buon samaritano doveva aver avuto cura del proprio cuore, per essere stato capace di fermarsi accanto al ferito, perdere tempo per lui, ridimensionare il proprio programma di viaggio. Non era stato altrettanto coltivato il cuore del sacerdote e del levita, i quali, visto il malcapitato, passarono oltre, pur venendo dal tempio, dalla preghiera, dall’incontro con Dio.
L’invito di Gesù, con la parabola del buon samaritano, è dunque a prendersi cura del fratello, specialmente del fratello bisognoso. E per esserne capaci non dimentichiamo di prenderci cura do noi, del nostro cuore, perché sia buono.
don Giovanni Unterberger