24° Domenica del Tempo ordinario (forma ordinaria)

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(Es 32,7-11. 13-14;  1 Tim 1,12-17;   Lc 15,1-32)

Duomo di Belluno, 11 settembre 2016

“No, non è giusto che mio padre si comporti così, che riaccolga in casa quel mio fratello che se ne è andato via sbattendo la porta, con la sua parte di eredità pretesa in anticipo; che lo riaccolga di nuovo in casa come niente sia accaduto di ciò che è accaduto; e che per di più organizzi per lui una festa con banchetto, canti e danze… No, non è giusto! Non posso accettare!” Così ragionava il fratello maggiore, quel fratello che era rimasto sempre in casa, giusto e a posto, a parere suo. Ma c’è qualcuno al mondo che sia del tutto giusto e a posto?

La giustizia invocata dal fratello maggiore era stretta giustizia. Era giustizia ‘umana’.La giustizia umana dice: “Chi sbaglia paga. Ha sbagliato? deve pagare”. In un certo senso questa giustizia è giusta, solo che essa entra subito in affanno e in difficoltà; in difficoltà, perché tutti sbagliamo; perché poco o tanto tutti sbagliamo; ogni giorno, e anche più volte al giorno, tutti sbagliamo; per cui la giustizia ‘umana’ pura e assoluta non diventa più, in realtà, praticabile: ha bisogno di essere integrata e corretta da un’altra virtù, la virtù della comprensione, la virtù della misericordia. La giustizia ‘umana’ ha bisogno di crescere, di elevarsi alla giustizia ‘divina’.

“Com’è fatta la giustizia ‘divina’?”, ci chiediamo.  Le letture della Messa di questa domenica ce lo dicono in maniera esemplare.  Il popolo di Israele nel deserto, dimentico di essere stato liberato dalla schiavitù dell’Egitto, si ribellò a Dio e si costruì un vitello d’oro. Secondo la giustizia ‘umana’ avrebbe meritato di essere annientato, ma la giustizia ‘divina’ lo perdonò. San Paolo dice di sé di essere stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Secondo la giustizia ‘umana’ avrebbe meritato di essere punito da Dio, ma la giustizia ‘divina’ gli accordò misericordia e lo fece apostolo del Vangelo. Il figliol prodigo, secondo la giustizia ‘umana’, avrebbe meritato di dover fare una lunga penitenza, ma la giustizia ‘divina’ di suo padre lo accolse a braccia aperte, lo perdonò e gli fece festa.

Alla giustizia ‘divina’ è sufficiente il pentimento, il pentimento sincero del peccatore; sia pure all’ultimo momento e in extremis, come fu per il buon ladrone sulla croce ( cfr Lc 23,42-43). Il figliol prodigo aveva molto sbagliato, ma, rientrato in se stesso, disse: “Ho peccato; andrò da mio padre e gli dirò: padre, ho peccato”. Ciò bastò. A quel padre ciò bastò. Quel padre attendeva sempre il figlio che tornasse e quelle parole: “Padre, ho peccato” gli bastarono per gettargli le braccia al collo e coprirlo di baci. “La misericordia di Dio sarà sempre più grande di ogni peccato, nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona”, ha scritto papa Francesco in un suo recente libro. E in una sua catechesi ha detto: “Dio desidera perdonare più di quanto desideriamo noi di essere perdonati”. “La misericordia è il nome stesso di Dio; è il volto con il quale egli si è rivelato nell’antica Alleanza e pienamente in Gesù Cristo”, ebbe a dire papa Benedetto  xvi.

E papa Luciani in un Corso di Esercizi spirituali che predicò da vescovo di Vittorio Veneto, nel suo commento alla parabola del figliol prodigo si soffermò su di un particolare della parabola che spesso viene trascurato, cioè sulla gioia che il figliol prodigo, tornato a casa, diede e procurò a suo padre. E disse: “C’è una gioia che solo noi possiamo dare a Dio; una gioia che Dio, pur essendo Dio, non si può dare da sé: è la gioia di riaverci tra le braccia e di poterci perdonare. Il nostro peccato -disse con una espressione ardita e forte- diventa quasi un gioiello che noi possiamo regalare a Dio per procuragli la consolazione di perdonare. Si è ‘signori’ quando si regalano gioielli, e non è sconfitta, ma gioiosa vittoria, lasciar vincere Dio!”

La giustizia di Dio è una giustizia ‘divina’, una giustizia che si compone con la misericordia, e che lascia scorrere misericordia ogni volta che il peccatore si pente e desidera convertirsi. Una giustizia così ci è necessaria; senza una giustizia così saremmo tutti perduti, perché siamo tutti dei ‘figli prodighi’. E la giustizia ‘divina’ trasformi la nostra giustizia ‘umana’, quella giustizia  che di istinto a noi verrebbe da usare e da applicare senza indugio e senza pietà ai fratelli.

don Giovanni Unterberger

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