24a domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

(Rm 13,8-10;   Mt 8,23-27)

Belluno, chiesa di san Pietro, 4 novembre 2018

Quale fu il problema degli apostoli, quel giorno, in mezzo al lago? Fu forse la violenta tempesta che colse la loro navigazione fino al punto da sollevare onde così alte da mettere in pericolo la loro barca e la loro vita? “Salvaci, Signore, siamo perduti!”, gridarono. Verrebbe da dire di sì; verrebbe da dire: il loro problema, in quel momento, in quel frangente, fu la violenta tempesta, furono le onde alte e minacciose.

E invece non è così; il loro problema vero era un altro, e grande. E la cosa più brutta era il fatto che non se ne rendessero conto, non ne avessero coscienza. Qual era, dunque, il loro problema di quel momento, e non solo di quel momento? Lo mise in luce Gesù quando disse: “Siete uomini di poca fede!”. Quante altre volte gli apostoli mostrarono di avere poca fede, di avere una mentalità e un modo di pensare che non era quello del Signore! “Signore, abbiamo solo cinque pani e due pesci, ma cos’è questo per tutta questa gente?” (Gv 6,9); “Signore, tu in croce non dovrai andare mai!” (Mt 16,22); “Signore, se le cose stanno così come tu dici, chi potrà salvarsi?” (Mt 19,25).

Quel giorno gli apostoli, sul lago, avevano Gesù con sé, ma era come se non lo avessero; non avevano fede in lui, nella sua presenza. E’ vero, Gesù nella barca dormiva, ma agli apostoli sarebbe dovuto bastare averlo con sé per non avere paura, per non temere di fronte alla tempesta. Avere Gesù con sé; credere che Gesù è con noi: ecco il problema e la sfida.

Don Giussani scrive: “Noi pensiamo: se fosse come per gli apostoli, che Gesù ci camminasse vicino, come tutto ci sarebbe più facile! Ma egli cammina con noi! Solo deve diventare viva la nostra coscienza, la nostra fede. Dobbiamo domandare la grazia -perché è una grazia- che Cristo entri nella nostra vita minuto per minuto, azione per azione, circostanza per circostanza. Dobbiamo chiedere che Cristo diventi familiare alla nostra coscienza, che la nostra coscienza viva l’appartenenza a lui come un sentimento abituale, così come voi, mamme, avete come sentimento abituale il senso della presenza dei vostri bambini, e il bambino ha come sentimento abituale il senso dell’appartenenza a voi. Che questo avvenga per il nostro rapporto con Cristo. Voi mamme e i vostri bambini siete l’ombra, l’ombra più luminosa, ma ancora solo l’ombra, di quello che Cristo è per noi, di quello che noi siamo per lui. Quale intensità di sguardi, quale intensità di rapporti, quale intensità di gusto acquisterebbe la nostra vita, se fosse forte la coscienza, la certezza, la fede, nella sua presenza!” (L. Giussani, La convenienza umana della fede, pag. 100-101).

Le tempeste nella vita vengono; il cammino dell’uomo conosce momenti sereni e momenti difficili. Immediatamente ci viene da considerare ‘problema’ la difficoltà, la sofferenza, la prova che ci viene incontro e si abbatte su di noi; ma il vero problema è la fede, la misura della nostra fede. “Se aveste fede come un granellino di senapa, trasportereste le montagne”, ci ha detto Gesù (Mt 17,20). Fede nella sua presenza, in lui che c’è, che sa, che vede, che non ci lascia mai, che è nella nostra ‘barca’ sbattuta dai venti e agitata dalle onde; ed è capace, perché onnipotente, di non lascarla andare a fondo.

Gesù è già presente al mattino quando ci alziamo (ci venga in mente che egli è lì al nostro primo risveglio); ed è stato con noi tutta la notte; ed è presente fino a sera, durante il tempo del lavoro e dello svago, della fatica e del sollievo, di ogni istante della giornata. Che cosa chiedere allora, quale preghiera fare? “Signore, aumenta la mia fede; fa’ che io ti creda presente, perché non abbia a vivere lontano da te, mentre tu sei con me. Grazie, Signore, di ascoltarmi ed esaudirmi”.

don Giovanni Unterberger

 

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