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(Ef 4,1-6; Mt 22,34-46)
Belluno, chiesa di s. Pietro, 27 settembre 2020
Le parole di Gesù: “Il primo comandamento è:‘Amerai Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente’, e il secondo è:‘amerai il tuo prossimo come te stesso’”, sono poche parole, ma contengono in sé un intero trattato di antropologia.
Chi è l’uomo? L’uomo è costitutivamente ‘relazione’; nasce da una relazione, sta bene se è in relazione; l’isolamento lo fa soffrire, lo intristisce, gli toglie fiato e vitalità. L’uomo cerca continuamente relazioni, con le persone, con le cose. Ma qual è la sua relazione fondamentale? quella più costitutiva? L’uomo nasce da due genitori, ma non sono essi propriamente i datori ultimi della sua esistenza, la più profonda ragione del suo esistere; se lo fossero, non permetterebbero che un loro figlio avesse a morire, cosa che invece dolorosamente alle volte accade. Vero datore dell’essere e della vita è Dio, per cui la relazione costitutiva e fondamentale dell’uomo è la relazione che lo lega a lui. Ne consegue che quanto più questa relazione è vissuta, coltivata e approfondita, tanto più l’uomo trova risposta vera a se stesso, al suo essere, a come egli, nel profondo, è fatto.
Ma questa relazione, che è la fondamentale, non è la prima a livello esperienziale. La prima a livello di esperienza è con la madre, col suo grembo, col suo seno, poi con il padre, con le altre persone e con le cose. Tali relazioni diventano mano a mano sempre più forti, tendendo a diventare totalizzanti, e quasi a soffocare quella con Dio, senza tuttavia riuscire a dare risposta esauriente all’uomo, che non si sente pienamente da esse appagato: le persone e le cose non riescono a bastargli, e rivelano, a lungo andare, il proprio limite e la propria insufficienza, fino talvolta a deludere.
Occorre che la relazione fondamentale, quella con Dio, riemerga e, come facendosi strada attraverso le altre relazioni, quelle con le persone e con le cose, riacquisti il suo primato e diventi la principale, quella che ‘informa’, cioè da forma, volto, giustezza e bellezza alle altre relazioni. Queste, infatti, se non innervate e sostenute dalla relazione con Dio, facilmente scadono in disvalori, egoismi e vizi. Dio è il vero e pieno bene per cui l’uomo è fatto.
Ecco perché Gesù dice: “Il primo comandamento -cioè la prima cosa e la più importante da fare- è amare Dio, e amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente”, cioè con tutto se stessi; perché amare Dio vuol dire vivere rivolti a lui, coltivare la relazione con lui, la più profonda del proprio essere, quella che ci fa stare veramente bene; perché amandolo e stando in relazione con lui ci si sente da lui amati, protetti e custoditi; ci si sente al sicuro in quanto nulla è perduto se si ha lui, e neppure la morte ci dispera, perché egli ci assicura la risurrezione.
Amiamo Dio, quindi, e amiamo il prossimo; amiamo Dio e ameremo anche il prossimo, perché dalla relazione con Dio riceveremo la capacità e la forza di amare i fratelli. E li ameremo non di un amore qualsiasi, debole, fragile e incostante qual è il nostro amore umano, ma con un amore ‘di marca’, di marca divina, così come Dio ama: con un amore che ama tutti, ama sempre e ama gratuitamente. E ci sentiremo bene, perché pur nella fatica, nel sacrificio e nella sofferenza che talora l’amare comporta, ritroveremo noi stessi; perché per amare siamo fatti, a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,26).
don Giovanni Unterberger