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(Is 55,1-11; 1Gv 5,1-9; Mc 1,7-11)
Duomo di Belluno, 10 gennaio 2021
Nati col peccato originale, cioè non in piena comunione con Dio, perché generati da genitori a loro volta non in piena comunione con Dio per i loro peccati personali, noi, con il battesimo, siamo stati reintegrati nell’amicizia col Signore, liberati dal peccato in cui incolpevolmente eravamo nati; pur riportandone tuttavia, come conseguenza, grande debolezza di fronte al bene, e inclinazione al male. L’acqua del battesimo ci ha portato salvezza.
Gesù non aveva bisogno di tale salvezza, e tuttavia volle sottomettersi al battesimo di Giovanni Battista, per indicare la sua volontà di piena solidarietà con noi peccatori.
Nell’anno 1831 venne eletto papa il nostro bellunese Mauro Cappellari, Gregorio XVI, e una delegazione di ecclesiastici e di notabili della città si recò a Roma per congratularsi con lui per l’elezione a Sommo Pontefice. Il papa accolse volentieri quell’ossequio, ma aggiunse: “Il giorno più importante della mia vita non è quello in cui sono diventato papa, ma quello in cui fui battezzato; quel giorno sono diventato figlio di Dio”. Leonida, il padre del grande Origene (si era nel terzo secolo d.C.), quando ebbe tra le braccia il suo bambino uscito dal fonte battesimale, gli baciò il petto e disse: “Ora abita in te Dio, c’è in te la sua vita!”.
Il battesimo non solo ci toglie il peccato originale, ma ci dona e ci inserisce nella vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, vita eterna. La vita terrena, fisica, è grande cosa, ma c’è una vita più grande, più importante e più preziosa: la vita della Trinità in noi. La vita terrena finisce, la vita di Dio è eterna; in noi è presente questa vita eterna. Ci è familiare tale consapevolezza? Ci pensiamo qualche volta? Viviamo forse come non portassimo in noi questo tesoro?
Al pari della vita fisica, anche la vita di Dio in noi ha bisogno di essere curata, custodita, alimentata. Perché può crescere e può diminuire; potrebbe addirittura andare perduta, e sarebbe la disgrazia più grande! Dio non voglia che ciò accada a nessuno!
Sappiamo come fare. Qualora la vita divina in noi si fosse rovinata per aver offeso Dio col peccato, il sacramento della Confessione ce la ripara; qualora fosse anemica e fiacca, la preghiera abbondante e la meditazione della Sacra Scrittura, ce la rinvigorirebbe e la farebbe rifiorire; l’Eucaristia, il Corpo del Signore ricevuto con fede, ci darebbe nuova energia.
E’ consolante e di una bellezza unica l’inizio del brano del profeta Isaia ripropostoci dalla prima lettura; il Signore ci dice: “O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite; comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte”: è l’acqua, il vino e il latte di questa vita divina. E’ consolante che il Signore voglia darcela, che lui stesso ci chiami per donarcela; donarla a noi che -come continua il testo- spesso “spendiamo denaro (cioè tempo, forze ed energie) per ciò che non è pane e non sazia”, per ciò che non ci riempie il cuore. Dio ha più desiderio di abitare in noi di quanto noi di averlo ospite. Eppure egli è nostro ospite, ci ha cercati e voluti come sua casa, come sua dimora. “Redi in interiorem hominem”, rientra nella tua interiorità, esorta sant’Agostino, e vi troverai Dio.
Tutti noi siamo stati battezzati, a tutti noi fu data in dono la vita di Dio; è la nostra più grande ricchezza, più del denaro, più del successo, più della stessa salute. Coltiviamola e viviamola; essa darà senso, forza e colore anche alla vita del corpo quaggiù.
don Giovanni Unterberger