Ultima domenica dopo Pentecoste

David Roberts – Assedio e distruzione di Gerusalemme da parte dei romani – 1850

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(Col 1,9-14; Mt 24,15-35)

Domenica 21 novembre 2021, risalente al 2011

Questo brano di Vangelo è uno dei brani della Bibbia che più impegnano gli esegeti e gli insegnanti di Sacra Scrittura nello spiegarlo ai loro alunni nei Corsi teologici. E’ impegnativo, questo brano, perché unisce insieme, intrecciandole, parole che si riferiscono alla caduta di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C. ad opera dei Romani, e parole che si riferiscono alla fine della storia umana, quando il Signore Gesù ritornerà a mettere il sigillo ultimo e definitivo a tutta la creazione.

Parole che si riferiscono alla caduta di Gerusalemme sono ad esempio quelle in cui si raccomanda di fuggire sui monti, di non attardarsi a tornare in casa a prendere qualcosa che si fosse dimenticato, perché di fronte all’esercito romano incalzante occorrerà mettersi in salvo con ogni premura; oppure le parole che invitano a non dare credito a chi indicasse presente il Messia nel deserto o chissà dove, quasi che il Messia avrebbe salvato il popolo dalla avanzata dell’esercito romano, mentre la distruzione di Gerusalemme sarebbe stata inevitabile.

Parole invece che si riferiscono al ritorno del Signore e al suo incontro finale con la storia dell’umanità sono quelle che, con un linguaggio figurato e di tipo apocalittico, descrivono l’apparire di Cristo nel cielo col segno della sua croce, davanti agli uomini radunati dagli angeli suonatori di tromba, in mezzo a fenomeni astronomici di portata cosmica e terribile: “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte”.

Con tutte queste parole e con queste immagini il testo sacro, e, attraverso di esso, Gesù, vuole dirci: la realtà in cui vivete non è realtà ultima, è realtà penultima; non è realtà definitiva, è realtà provvisoria, passeggera e precaria. “Non abbiamo quaggiù una città stabile, ci ricorda la lettera agli Ebrei, ma siamo in cammino verso quella futura” (Ebr 13,14).

Occorre vivere quaggiù ma senza affondare le radici in profondità piena quaggiù; o, meglio, occorre vivere in pienezza le cose di quaggiù, perchè in esse il Signore ci ha posti, ma con la consapevolezza che siamo fatti per un’altra realtà, per altri beni, coscienti e consapevoli che con le cose di quaggiù dobbiamo preparare e costruirci le cose di lassù, che saranno stabili, durature ed eterne; tenere uniti, con l’aiuto dello Spirito Santo, un forte impegno e presenza nel provvisorio presente e un forte orientamento e anelito verso il futuro eterno.

La vita passa; ce ne accorgiamo. Ma essa non è “tempo che passa”, è “una Persona che viene”. “Comparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo”, ci ha detto il Vangelo. Ci attende un incontro, l’incontro con Lui, col Figlio dell’uomo, che è il Figlio di Dio. In quel giorno, il giorno dell’incontro che coinciderà col nostro passaggio da questa vita all’altra vita, davvero per noi “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte”; ma sarà per un altro Sole, per un’altra luna e per altre stelle; per una luce uova fulgida e sfolgorante che non conoscerà più tramonto: la luce eterna di Dio.

A quell’incontro dobbiamo preparaci perché non sia un incontro di timore ma di amore; perché in quell’incontro possiamo sentirci dire: “Vieni!”, e non “Via da me!”. San Paolo nella prima lettura ce ne ha indicato il modo; ci ha detto: “Comportatevi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, crescendo nella conoscenza di Dio”.

“Piacergli in tutto”, ecco il programma, la mappa della via che conduce con sicurezza all’incontro. Proviamo, sforziamoci, impegniamoci a “piacergli in tutto”!

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