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(Es 17,3-7; Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42)
sabato 11 marzo 2023, risalente al 22 marzo 2014
Rabindranath Tagore, poeta indiano, racconta di un mendicante che chiedeva l’elemosina, e che un giorno vide avvicinarsi, lungo la strada ai bordi della quale egli sedeva a mendicare, un cocchio d’oro. Era il re; il re che passava! Le sue speranze e le sue attese si accesero e si moltiplicarono all’infinito. Il re si sarebbe fermato, e gli avrebbe dato un’elemosina grande, consistente, generosa, da re…! E infatti il cocchio si fermò davanti a lui.
“Il tuo cocchio si fermò vicino a me -racconta il povero-. Tu mi guardasti e scendesti sorridendo. Sentivo che alfine era arrivata la fortuna della mia vita. Poi, all’improvviso, mi stendesti la mano chiedendo: ‘Che cos’hai da darmi?’ Quale gesto regale fu il tuo! Stendere la mano a un mendicante per mendicare! Rimasi indeciso e confuso. Poi estrassi dalla mia bisaccia il più piccolo chicco di grano e te lo offersi. Ma quale non fu la mia sorpresa quando, finito il giorno, vuotai la mia bisaccia per terra e trovai un granellino d’oro nel mio povero mucchio! Piansi amaramente e desiderai di avere avuto il coraggio di donarti tutto quello che avevo”.
Gesù, al pozzo di Sicar, era il Re dei re. Quale re più grande, più ricco e più generoso di lui? Gesù, quel giorno, alla donna di Samaria chiese da bere. Gesù doveva avere sete fisica: veniva da Gerusalemme, aveva fatto strada a piedi; era mezzogiorno e il sole già scottava; Gesù era affaticato dal viaggio, dice l’evangelista Giovanni, e sedeva stanco ai bordi del pozzo. Egli chiese alla donna: “Dammi da bere”.
C’è un altro momento della vita di Gesù, in cui egli chiese da bere; ed è quando, sulla croce, dolorante, sfinito ed esausto, bruciante di sete per le ferite di cui era ricoperto tutto il suo corpo e per il tanto sangue perso, disse: “Ho sete” (Gv 19,28).
Gesù chiese da bere; egli aveva una sete fisica, ma aveva – dicono i Padri della Chiesa nei loro commenti all’episodio della samaritana e di Gesù in croce – anche una sete spirituale. Quella sete fisica celava una sete spirituale. E infatti il Gesù assetato al pozzo di Sicar aveva sete di incontrare quella donna per darle l’acqua viva, l’acqua che zampilla per la vita eterna, l’acqua della conoscenza di lui, il Messia, il Salvatore; colui che solo è la risposta piena all’uomo e può dare quiete per sempre, e del tutto, al cuore umano.
Gesù aveva sete in croce; aveva la sete della salvezza di tutti noi, della salvezza di tutta l’umanità. Chiese da bere, ma stava per donare lo Spirito Santo. L’evangelista Giovanni nel descrivere la morte di Gesù dice: “diede lo Spirito” (Gv 19,30); non dice “spirò”, dice “diede lo Spirito”. Gesù morendo ci donò lo Spirito Santo. Aveva sete di acqua, Gesù in croce, come al pozzo di Sicar, e chiese acqua, ma nell’un caso e nell’altro era lui ad avere un dono da offrire, e preziosissimo, l’acqua della conoscenza di lui, l’acqua della redenzione e della salvezza.
“Quale gesto regale fu il tuo, Gesù! – possiamo dire anche noi come disse il mendicante del racconto di Tagore al suo re – stendere tu la mano a me, mendicante, per mendicare!”.
È straordinaria questa realtà, è sconvolgente: che Gesù, che Dio, si faccia mendicante davanti all’uomo, e gli dica: “Ho bisogno di te; ho sete di te; ho sete della tua salvezza, del tuo bene, del tuo cuore. Ardo dal desiderio di farti del bene, di dare risposta ad ogni anelito e palpito, il più vero e il più profondo, del tuo animo. Dammi il tuo cuore, aprilo a me perché io vi possa mettere dentro il mio dono. Ne sarai felice. Placa, ti prego, questa mia sete!”.
Allora, come non dare risposta all’invito di Dio espresso nel libro del profeta Isaia: “O voi tutti assetati, venite all’acqua; chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte” (Is 55,1).
Sì, noi diciamo con Isaia: “Attingeremo acqua con gioia alle sorgenti della salvezza” (Is 12,3). E non cercheremo di dissetarci altrove, ad altre fonti e sorgenti; fuori di Dio, fuori di Gesù, troveremo solo acqua stagnante, acqua avvelenata.
“Il mio popolo – lamenta Dio nel libro del profeta Geremia – ha commesso due iniquità: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l’acqua” (Ger 2,13).
No, noi non vogliamo meritare questo lamento di Dio. Dio solo sarà la nostra “acqua”; a lui solo, e con grande abbondanza, vorremo attingere, perché sia soddisfatto, e in pace, il nostro cuore.
don Giovanni Unterberger