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(Ef 4,23-28; Mt 22,1-14)
Domenica 8 ottobre 2023, risalente al 19 ottobre 2014
C’è un invito che pende, come una fortuna, una grazia, una benedizione, sulla vita di ogni persona. Siamo degli invitati; dei chiamati; dei cercati; dei voluti da Dio. Dio ci cerca, ci vuole, ci desidera, ci chiama, ci invita.
E ci invita a che cosa? A qualcosa di grande; a qualcosa di bello; a qualcosa di festoso; a una festa di nozze! Ci può essere qualcosa di più festoso di una festa di nozze? Pochi momenti nel vivere sociale sono più festosi di una festa di nozze! E le nozze cui siamo invitati sono nozze speciali, sono nozze di re: si sposa il figlio di un re! A nozze regali siamo invitati!
L’immagine si sforza di farci intuire la grandezza, la ricchezza e la preziosità dei beni di Dio cui Dio ci chiama, e di cui egli vuole renderci partecipi. Ci possono essere beni più grandi e più preziosi dei beni di Dio? Potrebbe una persona procurarsi dei beni più grandi dei beni di Dio? Potremmo noi ricevere da una persona, anche la più ricca al mondo, doni più grandi di quelli che possiamo ricevere da Dio? No; Dio ha doni più grandi di ogni altro dono! Alla fin fine, il dono di Dio è Dio stesso; è lui, la sua persona, la sua amicizia, la sua grazia, la sua paternità, il suo amore, la sua vita divina.
A questi doni siamo chiamati; e chiamati con insistenza. Il re della parabola inviò un gruppo di servi a chiamare gli invitati, e dopo aver ricevuto da essi un rifiuto, inviò un secondo gruppo di servi. Quel re non si stancò; chiamò, chiamò, continuò a chiamare. Dio è un chiamante continuo, un invitante ostinato, ostinato di ostinazione d’amore; un Dio che non si ferma, non si arresta e non si arrende di fronte ai rifiuti dell’uomo; ma sempre ritorna, sempre riprende, sempre di nuovo batte alla porta del cuore dell’uomo.
Ed è disposto, Dio, a chiamare e a invitare a sé tutti, proprio tutti! Nessuno escluso. Il re della parabola, a un certo punto, fece venire alle nozze di suo figlio qualsiasi persona i suoi servi avessero trovato per le strade: “buoni e cattivi”, dice Matteo; “poveri, storpi, ciechi e zoppi”, dice Luca nel passo parallelo (Lc 14,21). Non occorre avere titoli speciali per essere invitati ai beni di Dio; non è necessario neppure essere santi, immacolati, senza difetti e senza peccati per entrare nella sua festa e assidersi alla sua mensa; basta solo accettare l’invito; basta solo dire: “Sì, vengo!”.
Può essere però che accettare l’invito di Dio richieda di rinunciare a qualche cosa. I primi invitati, quelli che declinarono l’invito, dissero di no perché avevano dei beni a cui non si sentivano di rinunciare: avevano il loro campo da coltivare, avevano i loro affari da sbrigare. Non avevano il cuore libero per l’invito del re.
Occorre che il nostro cuore sia “povero”, povero di quella povertà che è libertà e distacco da tutto ciò che lo volesse possedere; da tutto ciò che potesse diventare, per lui, idolo, re, padrone; ostacolo all’invito di Dio.
Ed è a questo punto che è chiamata in gioco la nostra libertà; la libertà del nostro “sì”. Un “sì” da pronunciare non solo a parole, ma con i fatti e con la vita.
Nella parte finale della parabola Matteo ci ha raccontato del re che entrò nella sala degli invitati e vide un tale che non indossava l’abito nuziale. Era usanza che quando un re, un signore, invitava a una cerimonia o a un banchetto, il guardaroba regio mettesse a disposizione degli invitati l’abito di cerimonia così che tutti potessero essere vestiti bene, come conveniva alla festa. Quell’invitato non aveva neppure fatto la fatica di indossare l’abito offerto e messo a disposizione dal guardaroba del re! Era stato davvero pigro, ignavo, o semplicemente superficiale; ma in tal modo fu meritevole del rimprovero del re e dell’esclusione dal banchetto di nozze.
Sia gli invitati che rifiutarono l’invito, sia questo invitato pigro e indolente furono severamente puniti; i primi furono uccisi, quest’ultimo fu gettato fuori nelle tenebre, ove era pianto e stridore di denti.
La nostra risposta agli inviti di Dio sta sotto il suo giudizio giusto e vero. Con i nostri “sì” e con i nostri “no” noi decidiamo della nostra eternità. Il Signore, accanto all’invito a nozze, ci offre e ci mette a disposizione anche l’abito nuziale necessario: la sua grazia, la sua Parola, i suoi Sacramenti, la sua Chiesa. Noi vogliamo indossare tale veste; non vogliamo, per pigrizia, rimanerne privi. Vogliamo poterci assidere al banchetto del Cielo ed essere partecipi della festa di Dio per sempre.
don Giovanni Unterberger
