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2 novembre 2023, risalente al 2 novembre 2014
“Beati mortui qui in Domino moriuntur; opera eorum sequuntur illos”, dice il libro dell’Apocalisse (Ap 14, 17). “Beati i morti che muoiono nel Signore, le loro opere li seguono”.
In questo giorno la Liturgia della Chiesa ci immerge in quella moltitudine immensa dei nostri fratelli che hanno già concluso il loro cammino su questa terra, e sono approdati all’eternità di Dio.
“Beati mortui qui in Domino moriuntur”, beati i morti che muoiono nel Signore. Queste parole ci aiutano subito a correggere il nostro modo istintivo di pensare e di sentire la morte. Dio non aveva pensato la morte per l’uomo; Dio aveva creato l’uomo per l’immortalità. La morte entrò nel mondo a causa e come conseguenza del peccato commesso dall’uomo (Sap 2,23-24; Rm 5,12).
L’uomo, ribellatosi e allontanatosi da Dio che è la vita, è caduto nella morte, pena tremenda.
Ma la morte non è la rovina definitiva dell’uomo; non lo è, se la parola di Dio può dire: “beati mortui”, “beati i morti”, beati quelli che muoiono.
Sono “beati” i morti perché verranno risuscitati a nuova vita; sono “beati” perché ad accoglierli c’è il grembo infinito e buono di Dio; sono “beati” i morti perché il paradiso è più bello della terra.
L’Apocalisse aggiunge: “Beati mortui qui in Domino moriuntur”, beati i morti che muoiono nel Signore. Occorre morire “nel Signore”, occorre morire in pace con Dio perché la morte sia la porta aperta alla salvezza, e non sia invece la porta spalancata sulla perdizione e sulla rovina eterna.
Muore nell’inimicizia con Dio, e quindi va in perdizione, colui che rifiuta Dio totalmente, colui che lo vuole escludere del tutto e per sempre da sé, dalla propria vita, dal proprio destino.
Ma anche coloro che muoiono “nel Signore”, può essere che non siano ancora del tutto “nel Signore” e pienamente “del Signore”. Ci può essere ancora, in chi muore, traccia di umana fragilità, attaccamento al peccato, piega e inclinazione verso il male non ancora del tutto vinto. Ci può essere bisogno di purificazione.
Entrare nella salvezza, entrare in paradiso, significa stare faccia a faccia davanti a Dio, confrontarsi con lui che è la santità, la verità assoluto, l’amore infinito e perfetto.
Il libro di Giobbe dice: “Dio trova difetti anche negli angeli, quanto più in coloro che abitano case di fango, che nella polvere hanno il loro fondamento!” (Gb 4,18-19).
È facile che chi muore non sia ancora del tutto nella verità assoluta e nell’amore perfetto; che abbia bisogno di un supplemento di cammino per assomigliare perfettamente a Dio, perché Dio possa imprimergli in modo pieno e definitivo il proprio sigillo sulla fronte (Ap 22,4).
È possibile per noi, allora, che viviamo ancora sulla terra, aiutare in questo loro cammino, nel cammino di purificazione, i nostri fratelli defunti. Con le preghiere, con i sacrifici, con le elemosine fatte ai poveri e con le altre opere buone offerte per loro, noi possiamo giovare ai defunti.
La Chiesa ci invita fortemente al suffragio dei defunti. Vale la verità della Comunione dei santi, che ci tiene tutti uniti e collegati: noi con i defunti, i defunti con noi, e tutti con i santi del Cielo. Siamo tutti un’unica famiglia.
“Beati mortui qui in Domino moriuntur; opera eorum sequuntur illos”, afferma infine l’Apocalisse. Beati i morti che muoiono nel Signore; le loro opere li seguono.
A seguire chi muore non sono le ricchezze, non sono gli onori, non è la stima della gente; a seguire chi muore sono solo le opere, le opere da lui compiute, in bene e in male.
Le opere cattive, se fatte oggetto di pentimento, di richiesta di perdono, e di riparazione, vengono da Dio perdonate e distrutte. Le opere buone parlano bene davanti a Dio per colui che muore e si presenta al suo cospetto.
Questa indicazione, questo avvertimento che l’Apocalisse ci offre, responsabilizza in misura altissima la nostra vita. La nostra vita, questo tempo che il Signore ci mette nelle mani e ci dona, è il tempo delle opere buone; è il tempo per costruire la nostra eternità; è l’occasione favorevole per andare in Cielo. Il nostro Cielo sarà su misura delle nostre opere buone, oltre che, per grazia, sulla misura della bontà e della generosità di Dio.
Giorno importante quello di oggi, giorno prezioso, giorno educativo. Vogliamo lasciarci invitare da esso a essere più solleciti e più assidui nel ricordare e nel pregare per i defunti; è una forma di carità verso di loro.
Vogliamo lasciarci infondere saggezza e sapienza; stimare in tutto il suo valore il tempo della vita per riempirla di opere buone, di tante opere buone, che ci possano un giorno seguire; perché solo le opere ci seguiranno nell’eternità.
don Giovanni Unterberger