Speranza

C’è un brano, tra gli scritti di Charles Péguy, che mi ha sempre fatto pensare. E’ intitolato: “La speranza non va da sé”. Lo riporto: “La fede va da sé. La fede cammina sola. Per credere non c’è che da lasciarsi andare, non c’è che da guardare. Per non credere, bisognerebbe violentarsi, torturarsi, tormentarsi, contraddirsi. Bloccarsi. Prendersi alla rovescia, mettersi alla rovescia. La fede è tutta naturale, è tutta andante. Per non credere bisognerebbe coprirsi gli occhi e le orecchie.

Anche la carità va da sé. La carità cammina sola. Per amare il prossimo non c’è che da lasciarsi andare, non c’è che da guardare la desolazione del mondo. Per non amare il prossimo bisognerebbe violentarsi, torturarsi, tormentarsi, contraddirsi. Bloccarsi. Snaturarsi, prendersi alla rovescia, mettersi alla rovescia. La carità è tutta naturale, tutta sorgente, tutta alla mano. E’ il primo movimento del cuore. Per non amare il prossimo bisognerebbe coprirsi gli occhi e gli orecchi.

Ma la speranza non va da sé. La speranza non va da sola. Per sperare bisogna avere ottenuto, ricevuto una grande grazia. E’ la fede che è facile, ed è non credere che sarebbe impossibile. E’ la carità che è facile, ed è non amare che sarebbe impossibile. Ma è sperare che è difficile. Facile invece è disperare, ed è la grande tentazione”. (Da Il portico del mistero della seconda virtù).

In un altro passaggio della stessa sua opera Péguy scrive: “La speranza, dice Dio, ecco quello che mi stupisce! Questo è stupefacente! Che quei poveri figlioli vedano come van le cose e che sperino che domani andrà meglio. Che vedano come va oggi e che sperino che andrà meglio domani mattina. Questo è stupefacente ed è davvero la più grande meraviglia operata dalla mia grazia. E ne sono stupito io stesso. Bisogna che la mia grazia sia davvero di una forza incredibile perché la speranza si mantenga ferma, fedele, diritta, pura e invincibile!”.

La speranza di cui parla Péguy non è la speranza soltanto umana, quella che ci fa dire: “speriamo che domani sia bel tempo”, ma è la speranza ‘teologale’, quella che deriva e viene sorretta dalla grazia di Dio. La speranza teologale si fonda su Dio, sulla sua parola, sulle sue promesse. Molti sono i venditori di speranza, ma pochi sono quelli che riescono a offrire motivi certi di speranza, almeno per le aspirazioni e per le aperture di infinito che l’uomo porta in cuore. Chi ci può dare speranza che la nostra vita, al di là dei fallimenti che possono segnarla, non sarà qualcosa di negativo e di perduto? Chi ci può dare speranza che la prova, il dolore, la sofferenza non sono solo rovina, disfatta e morte? Chi ci può dare speranza che dopo questa vita risorgeremo e saremo ancora vivi, per sempre, noi e tutte le persone che abbiamo amato? Abbiamo bisogno di questa speranza! di una speranza con la S maiuscola. “Sei tu, Signore, la mia speranza”, disse un uomo in Israele 2.500 anni fa, l’autore del Salmo 71 (70).

Durante una conversazione con una persona mi sentii fare questa domanda, domanda alla quale non avevo mai pensato; quella persona mi chiese: “Conosci la differenza tra certezza e sicurezza?”. E mi spiegò: la sicurezza noi l’abbiamo quando avvertiamo che tutte le cose fuori di noi e attorno a noi sono tranquille, a posto, e non abbiamo quindi nulla da temere; ci sentiamo al sicuro da ogni minaccia. La certezza invece noi l’abbiamo quando possediamo dentro di noi dei motivi forti e fondati che ci danno stabilità, che ci rendono sereni e fiduciosi, forti e attrezzati anche di fronte a inconvenienti, a difficoltà, ad avversità. La sicurezza è qualcosa che dipende dal “di fuori di noi”; la certezza è una realtà che abbiamo “dentro di noi” e ci tiene saldi.

Chiesi a quella persona: “La certezza di cui parli può corrispondere alla speranza, alla vera speranza?” – “Sì – mi rispose -, la certezza di cui parlo è proprio la vera speranza, perché la vera speranza è certezza, dà certezza”.

Il salmista prega così: “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò paura? Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme, se contro di me si scatena una guerra, anche allora ho fiducia” (Sal 27,1.3).

In un altro salmo egli dice: “Il Signore è mia roccia e mia salvezza, mia difesa: non potrò vacillare” (Sal 62,3). Chi si fonda sul Signore non vacilla, sta saldo, partecipa della stessa stabilità di Dio-roccia,  e non viene meno.

“Il cielo e la terra passeranno – dice Gesù – ma le mie parole non passeranno” (Mc 13,31). “Chi ascolta le mie parole e le mette in pratica – egli aggiunge – è simile ad un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia” (Mt 7,24-25).

La speranza che si fonda in Dio non delude; è l’unica speranza che non delude mai. Non deluse Abramo e Sara che erano ben oltre l’età di avere un figlio, e per la promessa di Dio generarono Isacco; non deluse Maria, che per la promessa di Dio divenne madre, pur rimanendo vergine; non deluse gli apostoli, rendendoli pietre di fondamento di una realtà, la Chiesa, che dalla loro testimonianza ricevette uno sviluppo straordinario; non deluse, e non delude, nessun peccatore che, tornato a Dio col cuore pentito, viene sempre da lui perdonato.

La speranza, virtù teologale; virtù che attinge direttamente a Dio, alla sua parola, alla sua volontà infinita di amore verso l’uomo; virtù che dà respiro e permette di vivere e di morire sereni; virtù che dà certezze sicure; virtù di cui abbiamo immenso bisogno…, è la virtù da domandare e da chiedere a Dio, perché molte, e continue, sono le aggressioni e gli attacchi che quotidianamente essa riceve dal vivere sulla terra.

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