(Dt 8, 2-3.14b-16a; 1Cor 10,16-17; Gv 6,51-58)
Duomo, sabato 21 giugno 2014
Festa, oggi, del Corpo e del Sangue del Signore. Festa della Messa. Festa di quel gesto sacro che la Chiesa ogni giorno pone su richiesta e comando del Signore, che le ha lasciato la Messa come dono grande e straordinario.
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”, ci ha detto Gesù.
Sull’altare, nel corso della Messa, si rende presente la carne, il Corpo e il Sangue di Gesù.
Quando, e dove, propriamente? Ciò avviene nel momento in cui il sacerdote, rendendo presente, attraverso la propria persona, la persona di Gesù, dice sul pane: “Questo è il mio Corpo”; e dice sul vino: “Questo è il mio Sangue”.
Il pane e il vino consacrati sono il Corpo e il Sangue del Signore.
Il Corpo e il Sangue del Signore sull’altare sono separati tra di loro nel “segno”, nel segno del pane e del vino, che sono distinti e separati l’uno dall’altro. In realtà, Gesù è presente, “tutto”, sia nel pane che nel vino consacrati; chi si ciba del solo pane consacrato si ciba di “tutto” Gesù, Corpo e Sangue; così come chi assumesse il solo vino consacrato, assumerebbe “tutto” Gesù, Corpo e Sangue.
Gesù, cioè, è presente vivo e vero, con tutta la sua persona, da risorto, in ciascuna delle due specie eucaristiche; ma il suo Corpo e il suo Sangue sull’altare sono indicati “separati” dal segno del pane e del vino “separati”, a indicare il sacrificio della vita di Gesù.
Gesù, la sera dell’ultima cena, prese di proposito pane e vino separati tra di loro, e del pane disse: “Questo è il mio Corpo”, e del vino disse: “Questo è il mio Sangue”, perché apparisse che quella cena, quel pasto, erano una cena, un pasto sacrificale: era il sacrificio della sua vita.
Quella cena anticipava e rendeva presente, nel segno, il giorno dopo, il Venerdì Santo, il sacrificio della Croce, quando il Corpo e il Sangue di Gesù sarebbero stati realmente separati, nel suo dare la vita per il mondo. Il Venerdì Santo era presente in quell’ultima cena. E la Messa, che è quell’Ultima Cena, e che si presenta a noi come un pasto (ci raduniamo infatti attorno ad una tavola, tavola che ha delle tovaglie; e noi mangiamo, mangiamo il pane consacrato), è in realtà un pasto sacrificale: è il sacrificio di Cristo in Croce, offertosi per noi e per la nostra salvezza.
Noi ci cibiamo di quel sacrificio; noi entriamo in comunione con quel sacrificio; noi, a ogni Messa, saliamo sul Calvario, stiamo sotto la Croce di Gesù; veniamo raggiunti dal suo amore che ci ha amati di un amore che è arrivato fino a dare la vita in quel modo e in quella misura; entriamo in contatto con la passione, morte e risurrezione del Signore.
Non deve sfuggirci questa dimensione sacrificale della Messa, perché, se ci sfuggisse, avremmo perso la sostanza della Messa; è come se a Messa non fossimo stati!
La Messa non sono, propriamente, i canti, le preghiere, l’omelia, i riti; la Messa è il Calvario di Cristo, è il sacrificio di Cristo che si dona per me, per noi, per il mondo, sulla Croce. Questo è ciò che accade e che avviene dentro i riti della Messa, e che non deve sfuggirci. I riti sono la “veste”, per così dire, del sacrificio di Cristo.
Come dobbiamo, allora, tornare alle nostre case dalla Messa? Così come torneremmo dal Calvario: infinitamente felici di essere stati amati, di essere stati redenti, di essere stati salvati.
Infinitamente riconoscenti a Gesù per il suo sacrificio redentore, col fermo proposito di non offenderlo più, di non peccare più; anzi, col vivo desiderio di fare di tutto per renderlo contento, per osservare la sua legge e per fare in modo che il suo sacrificio di croce non risulti inutile e vano per noi.
E siccome siamo stati amati, accolti e perdonati, torneremo alle nostre case, tra il nostro prossimo, con il desiderio e con l’impegno di amare, di accogliere e di perdonare i nostri fratelli, le nostre sorelle.
Ecco, Festa del Corpo e del Sangue del Signore, oggi; festa della Messa; festa del gesto redentore che ci ha portato salvezza.
Questo gesto a cui partecipiamo, e a cui dobbiamo partecipare sempre con più fede e con maggiore consapevolezza, possa davvero toccare la nostra vita; possa trasformarla, darle volto e forma; il volto e la forma di una vita “donata”, sull’esempio e sul modello di Cristo donatosi per amore a noi.