(1Sam 3,3b-10.19; 1Cor 6,13c-15a. 17-20; Gv 1,35-42)
Duomo di Belluno, sabato 17 gennaio 2015
Esperienza di Cristo, è la vita cristiana. Rapporto personale e vitale con lui, è la vita cristiana.
Alla base e alla radice dell’avventura che coinvolse dodici uomini a seguire Gesù e ne fece i dodici apostoli (apostoli che arrivarono fino a dare il sangue per Cristo), sta il loro incontro personale e vitale con Cristo. Il Vangelo che abbiamo ora ascoltato ne è uno splendido esempio.
Giovanni Battista predicava lungo le rive del Giordano e un gruppo di discepoli si era formato attorno a lui. Tra di essi anche due giovani dalla Galilea, un certo Andrea di Betsaida e un certo Giovanni di Cafarnao. Seguivano, ammiravano, ascoltavano il Battista. Un giorno Giovanni Battista vide in lontananza comparire Gesù di Nazareth, e, ispirato dallo Spirito Santo, riconobbe in lui il Messia, l’inviato di Dio; ed esclamò: “”Ecco l’Agnello di Dio!” A quelle parole Andrea e Giovanni abbandonarono il Battista e raggiunsero Gesù. Gesù si voltò e chiese loro: “Che cosa cercate?”. A quella domanda i due giovani risposero con un’altra domanda: “Rabbì, maestro, dove dimori?” Domanda tanto importante!
Il Vangelo, nel testo originale, non dice propriamente: dove dimori”; non usa il verbo “oikéin” che vorrebbe dire: “dove abiti, dove stai di casa, dove dimori”; ma usa il verbo “ménein”, che significa “rimanere”. La traduzione esatta sarebbe, dunque: “Rabbì, dove rimani?”
Il verbo “rimanere” nel Vangelo di Giovanni è un verbo di esperienza, un verbo che esprime comunione di vita, conoscenza profonda reciproca. Ai Giudei Gesù dice: “Chi mangia la mia carne e beve in mio sangue ‘rimane’ in me e io in lui” (Gv 6,56); chi si ciba dell’Eucaristia entra in comunione con me, fa esperienza di me. Parlando di sé e del Padre Gesù dice: “Il Padre, che ‘rimane’ in me compie le sue opere” (Gv 14,10); il verbo “rimanere” qui esprime addirittura l’infinita e perfetta comunione all’interno della Santissima Trinità tra il Padre e il Figlio. Gesù dice: “Rimanete nel mio amore” (Gv15,8), cioè fate esperienza che io vi voglio bene, che io vi amo.
Per cui la domanda di Andrea e Giovanni: “Rabbì, dove rimani?” esprime il loro desiderio di conoscere Gesù, di entrare in comunione con lui, di fare esperienza di lui. Era come dire: “Maestro, chi sei? Rivelati a noi”.
Il Vangelo continua dicendo: “Quel giorno ‘rimasero’ con lui”, cioè fecero esperienza di Gesù, rimasero con lui tutto un pomeriggio, ad ascoltarlo, ad interrogarlo, a guardarlo negli occhi, a lasciarsi guardare negli occhi e nella vita. Quell’incontro fu così profondo e decisivo che quei due giovani, Andrea e Giovanni, discepoli del Battista, diventarono discepoli di Gesù, diventarono l’apostolo Andrea e l’apostolo Giovanni. E Giovanni, a distanza di sessant’anni, quando compose il suo Vangelo, si ricordava ancora l’ora di quell’incontro, di quella esperienza straordinaria; e nota: “erano circa le quattro del pomeriggio”.
Alla base di una vera sequela di Cristo sta una profonda esperienza di lui. Solo chi ha incontrato Cristo nella sua vita riesce a seguirlo, riesce a vivere secondo i suoi insegnamenti, riesce a mettere in pratica le sue leggi e vivergli in fedeltà.
A un santo monaco chiesero un giorno: “Padre, come mai tante persone iniziano una vita cristiana, e poi con l’andar del tempo desistono e vengono meno?”. Il monaco rispose: “Accade come a una muta di cani lanciati all’inseguimento della lepre, Tutti corrono e si incitano a vicenda abbaiando, ma poi uno alla volta si stanca e si ferma, perché nessuno di essi ha visto la lepre. Solo il cane che ha visto la lepre, e che l’ha davanti a è, non si stanca e non desiste dalla corsa finché non l’abbia raggiunta e presa”.
E’ decisivo avere incontrato Cristo. E’ decisivo essersi sentiti chiamare per nome da lui, come il giovane Samuele di cui ci ha narrato la prima lettura. “Samuele! Samuele!”, si sentì chiamare Samuele; e Samuele, aiutato dal sacerdote Eli, riconobbe in quella voce la voce di Dio che lo voleva, e si mise al suo servizio; divenne suo profeta.
E’ a questa esperienza di Dio, di Cristo, che dobbiamo tendere, senza fermarci alla semplice pratica di riti religiosi, o all’osservanza di pure norme morali. E’ Cristo l’obiettivo; è lui che dobbiamo conoscere ed abbracciare; la sua persona!
Questa è la sfida che sta davanti alla Chiesa; questa è la sfida di ogni credente, specialmente se educatore: portare le persone, i giovani in particolare, alla conoscenza di Cristo, all’esperienza di Cristo, all’amicizia con lui. Una vera vita cristiana, ma possiamo dire ogni vita impostata bene e vissuta nell’amore e nel dono di sé, attinge da Cristo forza, linfa, vigore; riceve da lui ricchezza, perseveranza e capacità di bene. Diciamo allora, come preghiera: “Maestro, dove rimani?”.
don Giovanni Unterberger