26° Domenica del Tempo ordinario (forma ordinaria)

(Num 11,25-29;   Giac 5,1-6;   Mc 9,38-43.45.47-48)

Duomo di Belluno, sabato 26 settembre 2015

Fino ad alcuni decenni fa l’ “Ascetica” era una disciplina spirituale a sé stante, una delle discipline teologiche che veniva insegnata. Sono molti i Trattati di Ascetica che furono scritti da celebri autori, e anche da santi. Hanno composto opere di Ascetica santa Teresa d’Avila, sant’Ignazio di Loyola, sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Ma già i monaci dei primi secoli della Chiesa, i “monaci del deserto”, ci hanno lasciato importanti e utili indicazioni ascetiche.

La parola “ascetica” viene dal greco “àskesis” ( ̓άσκησις ), che significa “esercizio, ginnastica, lotta”. L’ascetica è esercizio, ginnastica, lotta spirituale. Essa è indispensabile per una vera vita cristiana.

L’ascetica non ha senso compiuto in se stessa, ma tende a far crescere la carità, è orientata a far crescere nel fedele la carità. In qualche caso, per il passato, ci si è soffermati e si è insistito forse più sugli esercizi spirituali da compiere, che non sul loro fine, la carità; oggi pare che ci si soffermi e s’insista molto sulla carità, sull’amore a Dio e al prossimo che si deve avere, e meno sulla necessità degli esercizi spirituali da compiere, sulla necessità della ginnastica spirituale e della lotta contro le passioni disordinate che portiamo in noi. Ma senza ginnastica spirituale e senza lotta contro le passioni disordinate non ci può essere la carità. L’ascetica le è assolutamente indispensabile e necessaria.

Gesù nel Vangelo ci ricorda con forza e chiarezza la necessità dello sforzo ascetico: “Se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, cioè di peccato, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel Regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geenna. E così per il tuo piede”. Gesù afferma la necessità di un deciso impegno ascetico.

Fa parte dell’ascetica la mortificazione, il dominio di sé.  Senza mortificazione e dominio di sé non ci può essere vera vita cristiana. Abbiamo in noi un che di disordinato che ha bisogno di essere rimesso in ordine, di essere riportato al bene.  E ciò richiede lotta, mortificazione. Anche san Paolo ricordava e proponeva ai cristiani di Colossi un cammino di ascesi: “Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria” (Col 3,5).

Ama, ed è capace di amare, solo colui che si è liberato del suo egoismo, del suo essere incentrato unicamente su se stesso, attraverso un lavoro di ascesi; ama, ed è capace di amare, colui che ha fortemente lottato contro di sé ed ha vinto le proprie passioni. “Tanto progredirai nella vita spirituale quanto avrai fatto violenza a te stesso”, dice l’“Imitazione di Cristo” (libro I, cap. xxv, n 4).

L’ascetica, oltre che chiedere mortificazione e lotta, propone e chiede che ci sia ordine nella giornata. La giornata non deve essere vissuta ‘così come viene’, ma il cristiano deve rimanere ‘signore’ del tempo, deve saper fissare fin dal mattino un tempo per le cose importanti. Spesso l’urgente prende il posto dell’importante; ora, non sempre l’urgente è importante, e molte volte a soffrirne è l’importante. Occorre ordine nella giornata.

L’ascetica chiede che la persona sia capace di riflessione e d’introspezione; sia attenta a quanto si muove dentro di sé, nell’ambito dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti, dei suoi affetti, e infine delle sue azioni. L’esame di coscienza giornaliero è pratica necessaria e indispensabile per poter rimanere attenti a se stessi, per poter progredire nel bene, per impedire che radici velenose si radichino nell’anima. Alla sera di ogni giornata l’esame di coscienza.

Quanto mai utile è anche imporsi qualche rinuncia a qualcosa che è lecito, ad esempio nel cibo, in qualche spettacolo o passatempo.

Lo sforzo ascetico, poi, deve andare unito a molta preghiera. La preghiera dà forza e perseveranza all’ascesi. Un’ascesi senza preghiera lascia spazio a uno sforzo volontaristico che inaridisce la persona e che alla fin fine cede e viene meno. E, d’altra parte, l’ascetica aiuta la preghiera, in quanto le fissa un tempo preciso nella giornata, e le assicura continuità e perseveranza.

L’ascetica – l’abbiamo detto – è per la carità. Un cammino ascetico autentico e sapiente, confrontato e concordato magari con una guida spirituale, fa progredire molto la persona nella carità, nell’amore a Dio e al prossimo; la fa progredire nella capacità di accogliere le mozioni dello Spirito Santo; la aiuta a diventare sempre di più conforme a Cristo.

Il Signore, che con il Vangelo di oggi ci chiama a un impegno forte di ascesi, ci aiuti.

don Giovanni Unterberger

 

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