Il volto di Flora

 

Era un po’ di tempo che pensavo a cosa scrivere sulla bellezza per questo Quaderno di Demamah, e non riuscivo a dare forma a nessuna idea dentro la mia mente, quando al Meeting di Comunione e Liberazione dello scorso agosto, una ragazza mi porse un volantino su cui era scritto: ‘La bellezza è intorno a noi: in uno sguardo, in una voce, in un abbraccio. Per saperla cogliere devi avere orecchio… ma anche occhio, sensibilità, attenzione. Mettiti in ascolto della bellezza, scatta le tue foto e partecipa al Concorso UnipolSai’.

Il volantino invitava a partecipare a un concorso fotografico, e capii subito che quel volantino non faceva al mio caso, perché io, fotografo, non lo ero mai stato, e di fotografia non avevo mai avuto particolare passione. Tuttavia m’interessò ciò che su quel volantino era scritto. Era come se mi avesse dato un urto e come se mi avesse detto: ‘Apri gli occhi! Apri gli orecchi! Guarda, osserva, ascolta! C’è tanta bellezza attorno a te!’

Ricordo che quella sera, nella stanza della pensione in cui ero alloggiato, prima di addormentarmi, mi misi a pensare e a riandare con la mente agli anni passati della mia vita, e non mi fu difficile trovarvi dentro tante cose belle. Mi tornò davanti agli occhi, nitido e chiaro, il volto della signora Flora.

Flora era la sacrestana della chiesa del mio paese. Era molto anziana. Io, da bambino, in chiesa ci andavo spesso e facevo il chierichetto. Flora mi aiutava a indossare la cotta, mi istruiva, mi voleva bene. Quando diventai seminarista, Flora, alla vigilia di ogni mio rientro in Seminario dopo un periodo di vacanza, m’invitava a casa sua per salutarmi, e mi offriva sempre una specie di merenda, fatta di patate lesse e formaggio. A me quel menù piaceva tanto, e mi piaceva ancora di più quel suo gesto di bontà e di affetto nei miei confronti. E ricordo che mentre mangiavo quelle patate e quel formaggio, e mentre conversavamo insieme (in realtà era lei che parlava di più), io la guardavo e osservavo il suo volto. Era un volto rugoso, emaciato, diafano, non più il volto di una giovane ragazza; un volto che portava i segni del tempo e che – non so come – mi ispirava rispetto e venerazione. Intuivo, dietro quelle rughe e quel volto, una lunga storia.

 

Flora, di anno in anno e diventando io sempre più adulto, riusciva a confidarsi sempre di più con me, e mi raccontò tanto della sua vita: di quando appena dodicenne era andata a Cortina a servizio di una famiglia; di quanto lei e la sua famiglia avessero patito durante la prima guerra mondiale per la fame e per la perdita di suo padre ucciso al fronte; di quanto avesse faticato lungo la vita in un lavoro duro a falciare l’erba dei ripidi prati sopra il paese e a fare legna nel bosco per riscaldare la casa; di quanto avesse sofferto per la perdita di due figli, uno morto piccolissimo, ed un altro morto per incidente sul lavoro.

Io ascoltavo, ascoltavo… e guardavo quel volto, quelle rughe; capivo che quelle rughe non erano solo pelle raggrinzita dal tempo, ma nascondevano dolori e patimenti sofferti. Eppure quel volto era sereno, quieto, quasi luminoso. Era un volto bello! Bello di una bellezza altra dalla comune bellezza fisica; non era una bellezza puramente estetica, la sua, bellezza che incanta; eppure io ero incantato da quel volto…

Flora era una donna di fede. Faceva la sacrestana della chiesa del paese non per mestiere, ma perché così aveva modo di stare di più in chiesa, di servire più da vicino il Signore e la Sacra Liturgia. Flora era una donna di preghiera. Sapeva appena leggere e scrivere, aveva frequentato solo le prime tre classi delle elementari, ma conosceva tante preghiere a memoria, e pregava tanto nelle sue giornate.

Capii, guardando il suo volto, che la serenità e la pace che esso emanava, le venivano dal suo essere con Dio, dal suo abbandonarsi in Lui. Quel volto, a distanza di più di cinquant’anni, mi tornò vivo e chiaro davanti agli occhi e alla mente quella sera di agosto, nel silenzio della mia stanza, e mi è ancora davanti. Ora Flora è morta da molti anni, è in Dio da molti anni. A Flora io dico ancora oggi: ‘Grazie, Flora, delle tue patate lesse e formaggio; grazie soprattutto del tuo bel volto’!

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