28° Domenica del Tempo ordinario (forma ordinaria)

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2Re 5,14-17; 2Tim 2,8-13; Lc 17,11-19

Duomo di Belluno, 9 ottobre 2016

La memoria è una facoltà importante; avere una buona memoria è una grazia grande. Lo sperimentiamo specialmente quando la memoria ci fa difetto e ci dimentichiamo di cose di rilievo.

Anche Dio ha memoria; ha una memoria in due sensi. Ha memoria nel senso che si ricorda sempre di noi e di tutte le sue creature: “Può forse una donna dimenticarsi del suo bambino? Anche se una donna se ne dimenticasse, io non mi dimenticherò di te”, dice Dio nel libro del profeta Isaia (Is 49,15). E l’altro senso della memoria di dio è quello di una memoria che dimentica, che non ricorda; nel libro del profeta Geremia Dio dice: “Io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato” (Gr 31,34); tanto che il salmista ha il coraggio di rivolgersi al Signore così: “Non ricordare i peccati della mia giovinezza, ricordati di me nella tua misericordia” (Sal 25,7). Così è la memoria di Dio: una memoria che ricorda e che dimentica.

E com’è la nostra memoria , la memoria di noi uomini? Anche la nostra memoria è una memoria che ricorda e che dimentica. Purtroppo la nostra memoria tende a ricordare i torti e le offese ricevute, e a dimenticare i favori e i doni che ci fossero stati fatti. Meglio sarebbe se fosse capace del contrario: ricordare il bene ricevuto e dimenticare le offese.

Dei dieci lebbrosi guariti da Gesù di cui ci ha narrato il Vangelo, nove ebbero una cattiva memoria: dimenticarono, e dimenticarono subito, appena guariti, il dono della guarigione ricevuta. Cattiva memoria; poca memoria… Saranno andati a presentarsi ai sacerdoti, come aveva prescritto loro Gesù, per essere riammessi in società; saranno poi andati a festeggiare con gli amici; ma non ritornarono a ringraziare il Signore.

Uno di loro però si ricordò di Gesù, ebbe buona memoria e tornò a ringraziare: “Si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo”. “Era un samaritano”, nota il Vangelo, un uomo considerato un eretico e un non autentico giudeo; eppure quale cuore buono e nobile può nascondersi anche in chi non avesse tutte le credenziali e tutti i crismi secondo il giudizio umano! Occorre essere cauti nel giudicare.

Gesù si lamentò: “Non ne sono stati guariti dieci? -chiese-  E gli altri nove dove sono?”. Gesù avrebbe voluto lì tutti e dieci i lebbrosi guariti; sia perché avrebbe potuto gioire del loro cuore riconoscente e nobile (è nobiltà d’animo saper ringraziare); sia perché ad essi egli avrebbe potuto fare un dono ulteriore, un dono ancora più grande della stessa guarigione dalla lebbra, il dono della fede in lui, fede di salvezza: “Va’, la tua fede ti ha salvato”, disse al lebbroso tornato; dono che egli poté fare all’unico che era tornato.

La Parola di Dio ci invita, oggi, a saper ringraziare, ad avere buona memoria dei doni che riceviamo. Da Dio riceviamo beni continui: la vita, la salute, i famigliari, gli amici, il mondo, la grazia, la fede, la figliolanza divina, la sua Parola, il suo Corpo e il suo Sangue, il suo Santo Spirito, il perdono dei peccati, la speranza di una vita senza fine. Un’infinità di doni! Sappiamo noi ringraziare? Abbiamo buona memoria? o dimentichiamo? Siamo quel lebbroso che è tornato a ringraziare, o siamo molte volte nel numero dei nove lebbrosi dimenticoni? dimenticoni e ingrati?

“Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici”, dice il salmo (Sal 103,2). Non dimentichiamo mai quanto siamo stati, e siamo, beneficati dal Signore, e ringraziamolo di vero cuore. Il ringraziarlo torna, alla fin fine, ancora a beneficio nostro.

E ringraziamoci vicendevolmente anche tra di noi per il bene che riceviamo. Il ‘grazie’ renderà più buoni e più teneri i nostri rapporti.

don Giovanni Unterberger

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