2a Domenica dopo Pasqua (forma straordinaria)

clicca QUI per scaricare l’omelia

(1Pt 2,21-25;   Gv 10, 11-16)

 

Belluno, chiesa di s. Stefano, 30 aprile 2017

La prima immagine con cui i cristiani raffigurarono Gesù non fu il Crocifisso, ma fu il buon pastore. Nelle catacombe di san Callisto, a Roma, poco dopo l’ingresso, si può ammirare la statua di un giovane che porta sulle spalle una pecora:è Gesù buon pastore. Quella statua è una copia dell’originale, l’originale è conservato nei Musei Vaticani, e data alla fine del III^ secolo d.C.

E’ significativo notare come i primi cristiani abbiano amato questo aspetto di Gesù: Gesù pastore, còlto certamente dal brano di Vangelo che abbiamo ora ascoltato e dalla parabola del pastore che cerca la pecora perduta. E’ significativo notare anche il fatto che quella immagine sia una statua, tenuto conto che nei primi tempi del cristianesimo i cristiani furono restii a ricorrere alla scultura per raffigurare i soggetti riguardanti la loro fede; questo per non conformarsi in nessun modo ai pagani, che erano soliti scolpire in statue i loro dèi. Ma l’immagine di Gesù buon pastore fece come eccezione; i cristiani si sentirono di poterla scolpire, e a tutto tondo, in segno di un particolare affetto per questa dimensione di Gesù: Gesù pastore.

Nel Vangelo di Giovanni l’evangelista riprende un filone ricchissimo già molto presente nell’Antico Testamento: il filone di Dio pastore. “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”, diceva il salmo (Sal 23,1). “Come un pastore Dio fa pascolare il suo gregge e con il suo braccio lo raduna, porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri”, diceva il profeta Isaia (Is 40,11). E nel libro del profeta Ezechiele Dio diceva: “Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove si erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. (…) Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia” (Ez 34,12. 16).

Ora è Gesù il buon pastore che si prende cura di noi. Noi non siamo pecore senza un pastore. “Eravate come pecore erranti -ci ha detto l’apostolo Pietro nell’epistola- ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime”. E siamo tornati perché lui, il pastore, ci ha ricuperati; perché lui, Gesù, con la sua morte e risurrezione ci ha salvati e ci ha riportati all’ovile, alla comunione con Dio. Lui, il pastore, ha affrontato il lupo che voleva sbranarci, ha vinto Satana e ci ha strappati alle sue fauci. Lui, Gesù, nel combattimento ha perso la vita e l’ha sacrificata per noi, ma proprio il sacrificio della sua vita ha apportato a noi vita. Gesù non fu un vile mercenario, fu un generoso pastore.

A questo pastore noi rendiamo grazie e innalziamo lodi. La Sequenza ‘Victimae paschali laudes’ del giorno e della settimana di Pasqua diceva: “Alla Vittima pasquale innalzino inni i cristiani. L’Agnello ha redento le pecore; Cristo innocente ha riconciliato con il Padre i peccatori. La morte e la vita si sono affrontate in un duello mirabile; il Signore della vita, morto, regna vivo!”

A Gesù buon pastore vogliamo offrire il nostro ‘grazie’, e al ‘grazie’ vogliamo unire il proposito e la promessa di essergli pecore docili e obbedienti; pecore che fanno conto del suo sacrificio e che non vogliono renderlo inutile, ma grandemente efficace in una vita buona e santa, a onore e gloria sua.

don Giovanni Unterberger

 

 

Questa voce è stata pubblicata in Omelie di Don Giovanni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.