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(1 Pt 5,6-11; Lc 15,1-10)
Belluno, chiesa di s. Pietro, 25 giugno 2017
Abbiamo ascoltato la parabola della pecorella smarrita e della moneta perduta nella versione dell’evangelista Luca. Luca nel riportarci queste parabole di Gesù sottolinea in particolare la dimensione della gioia del pastore nell’aver ritrovato la pecora smarrita, e la gioia della donna nell’aver ritrovato la moneta perduta.
La gioia del pastore è grande; per ben tre volte si dice che quel pastore fu contento: “Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle… chiama gli amici e dice loro: ‘Rallegratevi con me’… ci sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione”. A proposito di quest’ultima affermazione va notato che essa non intende stabilire un’equazione matematica tra un solo peccatore che si converte e novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione, ma intende, con la contrapposizione tra uno e novantanove, esprimere la grande straordinaria gioia che si produce in cielo per ogni peccatore che abbandona la via del male e s’incammina sulla via del bene.
Anche l’evangelista Matteo riporta la parabola della pecorella smarrita (Mt 18,12-14), ma accenna una volta soltanto alla gioia provocata dalla conversione del peccatore. Luca vuole sottolineare, dunque, la grande felicità di Dio nella conversione dell’uomo che abbandona il peccato. Dio si mette in movimento quando l’uomo si fosse perduto; Dio non può stare senza il peccatore; ha bisogno di ritrovarlo, di ri-incontrarlo, di ristabilire l’amicizia e la comunione con lui, per essere felice. Senza il peccatore ritrovato il suo cuore è triste. “Noi manchiamo a Dio infinitamente più di quanto lui manchi a noi”, scrive il monaco cistercense Mauro Lèpori. E papa Francesco, nell’udienza generale di mercoledì 7 giugno scorso, ebbe a dire: “Il Vangelo ci rivela che Dio non può stare senza di noi. Lui non sarà mai un Dio ‘senza l’uomo’; è lui che non può stare senza di noi, e questo è un mistero grande! Dio non può essere Dio senza l’uomo: grande mistero è questo!”.
Il cuore di Dio gioisce ogni volta che ci può avere tra le braccia dopo che ci fossimo perduti. Potremmo dire che anche Dio patisce una sorta di ‘egoismo’: è l’egoismo del bisogno di essere felice; e questo suo bisogno di essere felice lo spinge a cercarci, a volerci, a raggiungerci là dove noi siamo, fossimo anche agli inferi, cioè nel punto più lontano da lui. Nel ‘Credo’ diciamo che Cristo “discese agli inferi”, cioè discese nel punto del peccato più profondo, nel punto più lontano dell’uomo da lui, là dove è finito l’uomo più peccatore di tutti. Dice ancora papa Francesco: “Non siamo mai abbandonati da Dio. Possiamo essere lontani, ostili, potremmo anche professarci ‘senza Dio’, ma lui non può stare senza di noi”.
Quel suo, chiamiamolo così, ‘egoismo’ è in realtà solo amore; è amore che vuole salvare, che vuole recuperare, che vuole che nessuno vada perduto, che vuole che ogni suo figlio sia finalmente felice. Il bisogno di noi che Dio prova ci è fonte e motivo di speranza; ci è fonte e motivo di speranza per la salvezza di ogni uomo. Di ogni uomo.
Noi vogliamo lasciarci trovare da Dio pastore; e pregheremo perché ogni uomo si lasci trovare da lui. Nei tempi passati si diceva: “Preghiamo per i poveri peccatori”. Si era invitati a questo gesto di carità: pregare per coloro che fossero lontani da Dio, così da aiutarli nel loro cammino di conversione. Questo invito di una volta è molto attuale e bello anche oggi: lo raccoglieremo; e la nostra preghiera sarà un gesto d’amore per i nostri fratelli, e insieme sarà qualcosa di molto gradito al Signore.
don Giovanni Unterberger