2a domenica dopo Pasqua (forma straordinaria)

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(1Pt 2,21-25;   Gv 10, 11-16)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 15 aprile 2018

Non potevamo sentirci dire parole più belle di quelle che abbiamo ora sentito; Gesù ci ha detto: “Io sono il buon pastore; conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre”. Gesù ci conosce. “Tu, Gesù, mi conosci”.

Dice il salmo: “Sei tu, Signore, che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel grembo di mia madre. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati quando ancora non ne esisteva uno” (Sal 139, 13. 15-16). Gesù ci conosce; ci conosce già fin quando venivamo formati nel grembo di nostra madre. Conosce come si è formato il nostro corpo, il corpo che ora abbiamo, con le sue fattezze, con le sue caratteristiche, con le sue capacità, con le sue debolezze. Gesù conosce il nostro temperamento ereditato dai nostri genitori; sa il percorso che abbiamo fatto nella vita: nell’infanzia, nell’adolescenza, nella giovinezza, nella maturità, nell’anzianità. Sa tutto, conosce tutto. E tutto guarda da ‘pastore’, da pastore buono, che si prende cura di noi, sue ‘pecore’. Ci è sempre stato ‘pastore’, Gesù; anche quando noi a lui non abbiamo pensato, e anche qualora fossimo vissuti senza di lui, perché da sempre noi siamo, per lui, sue ‘pecore’, pecore che egli ama, che egli segue, che egli vuole guidare a pascoli rigogliosi e fiorenti.

“Gesù, tu mi conosci. Tu vedi i miei desideri di bene, i miei slanci e i miei momenti di fervore, e vedi anche le mie cadute, le mie inadempienze, la mia povertà e i miei peccati. E mi sei ‘pastore’! Mi sei pastore, non giustiziere; mi sei amico, e non nemico! Nel tuo libro, la Sacra Scrittura, è scritto che se una pecora si ferisce, tu la fasci; se si perde, tu la cerchi; se si ammala, tu la curi; se sta bene, tu la custodisci in salute. Sei tu stesso, col tuo Spirito, ad aver fatto scrivere così, nel libro del profeta Ezechiele (cfr Ez 34,16). Per me è gioia averti pastore; è gioia grande, perché ciò mi dà sicurezza, mi dà fiducia, mi fa sentire che sono ‘di qualcuno’; non sono ‘di nessuno’, ma sono ‘di qualcuno’; di te, buon pastore, che ti prendi cura di me!

E io ti conosco? Un po’, sì, ti conosco: so che tu sei il Signore, il Figlio di Dio fatto uomo, il Salvatore, il Redentore, il fine ultimo della storia, il senso della mia vita e del mio esistere. Ma quanto ti conosco? Mi tornano alla mente e al cuore le parole che rivolgesti alla Samaritana: ‘Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere’ (Gv 4,10). Forse non ti conosco ancora molto, Signore; forse c’è ancora molto di te che io posso conoscere, e grandi sono le profondità del tuo mistero in cui io potrei scendere. San Paolo dice che in te ‘abita la pienezza della divinità’ (Col 2,9). Tu sei Dio, e quanto in Dio l’uomo può inabissarsi!

Anche per la conoscenza di te vale ciò che vale per la conoscenza di qualsiasi persona. La conoscenza di una persona si approfondisce e cresce nella misura in cui la si frequenta. Se la si frequenta poco, la si conosce poco; se la si frequenta molto, la si conosce molto. Così è anche con te: se starò molto con te, ti conoscerò molto; conoscerò di essere da te conosciuto, amato, seguito, accompagnato, sempre perdonato e tenuto dentro il tuo cuore. E sempre di più ti amerò, perché non sarà possibile conoscerti e non amarti, conoscerti e non volerti bene!”

don Giovanni Unterberger

 

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