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(1 Cor 12,2-11; Lc 18, 9-14)
Belluno, chiesa di s. Pietro, 29 luglio 2018
Sono molte le volte che abbiamo sentito questo Vangelo e, nell’ascoltarlo ancora una volta, forse ci è venuto da dire: lo conosco, lo so già. Ed è vero; e tuttavia la Chiesa, nostra sapiente madre, non si stanca di farcelo sentire sempre di nuovo di tanto in tanto, perché sa che ne abbiamo bisogno e che ci fa bene il risentirlo. Esso mette a tema la superbia, l’orgoglio (atteggiamento del fariseo), e l’umiltà (atteggiamento del pubblicano). Papa Luciani ebbe a dire: “Ho fatto mille volte il funerale alla mia superbia, ed è sempre risorta!”; ragion per cui c’è bisogno di continuo di riflettere sulla superbia, sull’orgoglio, sull’istinto di autosufficienza che tanto fortemente prende l’uomo.
La superbia è una brutta madre, che ha dei brutti figli. Un brutto figlio della superbia è il sentirsi bastanti a se stessi; e questo addirittura nei confronti di Dio. Il superbo non prega, non chiede, pensa di essere capace di fare le cose da sé; si sente autosufficiente. Brutto figlio della superbia, questo, perché taglia il legame con Dio, che invece è la radice, la sorgente e la fonte di ogni cosa, di ogni bene; non c’è bene che non venga da Dio, e il superbo si impedisce di riceverlo, di accoglierlo, di esserne raggiunto. Povero di Dio, resta il superbo!
Un altro brutto figlio della superbia è l’autoreferenzialità. Il superbo si sente al centro del mondo, al centro dei rapporti, delle relazioni; le persone devono girare attorno a lui, tenere conto di lui, servire lui, soddisfare lui, pensare come la pensa lui, avere addirittura i gusti che ha lui. Brutto figlio della superbia, anche questo, perché porta il superbo ed entrare in conflitto con le persone. Non ci sarà persona, infatti, in grado di essere risposta piena ed esauriente alle sue attese e alle sue pretese; per cui passerà a lamentarsi, ad accusare, a voler dominare e piegare gli altri a se stesso, generando un mare di sofferenze al prossimo; e non solo al prossimo, ma anche a se stesso, perché l’autoreferenzialità è la strada sicura verso l’infelicità.
Un terzo brutto figlio della superbia è la vanagloria. La vanagloria è il bisogno di apparire, di mettersi in mostra, di offrire una bella immagine di sé per essere apprezzati, stimati, lodati, considerati. Brutto figlio della superbia, la vanagloria, perché porta ad indossare delle maschere; focalizza il proprio interesse sull’esteriorità anziché sull’interiorità, sull’ ‘uomo interiore’, che va coltivato; limita la libertà della persona, perché il vanaglorioso si fa schiavo del parere e del giudizio altrui. Deve piacere…
Un quarto brutto figlio della superbia è il considerasi facilmente, normalmente, nel giusto; il superbo è convinto di vedere sempre le cose meglio degli altri, nella giusta luce, nella realtà e verità; per cui non ascolta, non domanda, non consulta, non è aperto a un punto di vista diverso dal proprio. Brutto figlio, anche questo, della superbia, perché chi si tiene su questa posizione si priva dell’arricchimento, del completamento e del perfezionamento del proprio pensiero che può venire dagli altri; se non addirittura impedirsi di accogliere una salutare correzione, in quanto ognuno può avere bisogno di venire anche corretto.
Abbiamo ricordato alcuni macroscopici brutti figli della superbia, ma quanti altri ve ne sono! ad esempio il giudizio sul fratello, il disprezzo, il puntiglio, il non accettare i propri limiti creaturali, il non ammettere gli errori commessi e il volerli a tutti i costi giustificare, il ribattere e il voler avere sempre l’ultima parola… Potremmo dire che è quasi impossibile non peccare di superbia!
E allora ringraziamo la Chiesa che ci ha messo davanti ancora una volta questa pagina di Vangelo, che ci invita a tenere d’occhio e a combattere la superbia e a perseguire l’umiltà; e chiediamo alla Chiesa che ce la riproponga ancora in futuro, perché la battaglia e la lotta contro la superbia non è mai finita, non è mai definitivamente vinta.
don Giovanni Unterberger