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(Ebr 9,11-15; Gv 8,46-59)
Belluno, chiesa di s. Pietro, 7 aprile 2019
Il brano di Vangelo che abbiamo ascoltato non è che una parte del grande confronto-scontro che Gesù dovette sostenere nell’imminenza della sua passione, quando scribi, farisei e dottori della legge gli sferrarono, pieni di livore, un attacco frontale, contestandogli a tutto campo il suo insegnamento e la sua dottrina. Arrivarono a dirgli: “Sei un samaritano”, cioè un eretico, un decaduto dalla retta fede e dall’autentico rapporto con Dio; “sei un indemoniato”, un posseduto da Satana, che pensa, parla e opera guidato dal diavolo. Quale deriva di pensiero e quale assurdità di parole dette e lanciate contro Gesù, che era il Figlio di Dio fatto uomo! Gesù rispose: “Chi è da Dio ascolta le parole di Dio; per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio!”
Parole forti, queste di Gesù: “Voi non siete da Dio!”. E noi, siamo ‘da Dio’? siamo ‘da Dio’ o siamo ‘da noi stessi’, ‘dal mondo’, ‘dal pensare umano e terreno’? Essere ‘da Dio’ significa essere collegati con Dio, in rapporto esistenziale, concreto, cosciente e voluto con lui. Papa Benedetto XVI ebbe a dire: “Senza Dio l’uomo perde la sua grandezza, senza Dio non c’è vero umanesimo. Quando Dio sparisce dall’orizzonte dell’uomo, l’umanità perde l’orientamento e rischia di compiere passi verso la distruzione di se stessa”. Il grande dramma dell’umanità di oggi è la perdita del senso di Dio. E, perduto Dio, è perduto l’uomo.
Lo vediamo nella grande confusione di idee e nei tanti sbandamenti morali della società umana di oggi. Infiniti sono i problemi del mondo, ma il problema dei problemi del mondo è ritrovare Dio, ritrovare la strada verso di lui, la comunione con lui. Non sarebbe cosa insensata curare una malattia solo nei suoi sintomi, e non curarne la radice, la causa? Altrettanto cosa insensata è cercare di provvedere a fermare i mali del mondo (guerre, violenze, fame), i mali della società (disuguaglianze, ingiustizie), ma anche i mali delle famiglie e delle stesse singole persone (frustrazione, senso di solitudine, insoddisfazione, noia, paura), senza curare la radice di tutto ciò: l’uomo è inquieto, disorientato e perduto senza Dio!
I più anziani tra noi ricordano il canto che un tempo si cantava: “Noi vogliam Dio, Vergin Maria”. Le strofe di quel canto dicevano: “Noi vogliam Dio nelle famiglie, dei nostri cari in mezzo al cor; sian forti i figli, caste le figlie, tutti c’infiammi di Dio l’amor. Noi vogliam Dio in ogni scuola, perché la cara gioventù la legge apprenda e la parola della sapienza di Gesù. Noi vogliam Dio nell’officina, perché sia santo anche il lavor; a Lui dal campo la fronte china alzi fidente l’agricoltor. Noi vogliam Dio nella coscienza di chi l’Italia governerà; così la patria avrà potenza, e a nuova vita risorgerà. Noi vogliam Dio nel giudicare, a Dio s’ispiri il tribunal; Dio nelle nozze innanzi all’altare, Dio del morente al capezzal.” E il ritornello diceva: “Deh, benedici, o Madre, al grido della fe’; noi vogliam Dio ch’è nostro Padre, noi vogliam Dio ch’è nostro Re!”
Immaginiamo un popolo che canta così, un popolo che canta: “Noi vogliam Dio!” Possiamo dirlo noi nella nostra preghiera personale, nel nostro desiderio di Lui, nelle ore e nelle attività delle nostre giornate. Possiamo -e nessuno ce lo impedisce- legare a Dio la nostra vita, così che da lui abbiamo salvezza, e non meritiamo il rimprovero di Gesù: “Voi non siete da Dio”.
don Giovanni Unterberger