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(At 14,21b-27; Ap 21,1-5a ; Gv 13,31-33a. 34-35)
Duomo di Belluno, 19 maggio 2019
“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”. Una domanda: come poteva Gesù, chiedendo ai suoi di amarsi, dire: Vi do un comandamento nuovo?” Come poteva essere ‘nuovo’ il comandamento di Gesù, dal momento che nell’Antico Testamento il comandamento dell’amore era già stato dato? Il libro del Levitico aveva detto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19,18). Eppure Gesù dice: “Vi do un comandamento nuovo”.
L’evangelista Giovanni, per dire ‘nuovo’, usa un termine particolare: ‘kainòs’; non usa il termine ‘nèos’, che vorrebbe dire nuovo nel senso di ‘più recente’, di cosa che accade semplicemente dopo un’altra, successiva cronologicamente; ‘kainòs’ significa nuovo nel senso di ‘qualitativamente nuovo’, nuovo perché di qualità, di pasta, differente rispetto a ciò che era prima. Il comandamento di Gesù, dunque, è nuovo perché differente da quello antico.
La differenza sta nel fatto che l’amore che Gesù ci comanda è lo stesso amore suo, è il medesimo amore con cui egli amava: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”; un amore che non è solo umano, ma divino. Infatti il verbo ‘amare’, che qui ricorre, è reso col verbo ‘agapào’, che nei Vangeli e nel Nuovo Testamento sta a indicare l’amore con cui Dio ama, l’amore soprannaturale, perfetto; e non il semplice amore umano.
Ma se Gesù ci chiede di amare col suo amore, con l’amore con cui egli amava, la conseguenza immediata e assolutamente ovvia è: dobbiamo chiedere a lui tale amore, dobbiamo stare uniti a lui per avere il suo amore. Solo coltivando il rapporto con Cristo saremo capaci di amare di amore perfetto, divino, veramente ‘cristiano’. Così che il nostro amore non sia semplice filantropia, amore derivante dalle nostre limitate forze, dalla nostra semplice natura umana; ma da lui, Cristo.
Ci è indicata così la giusta impostazione dell’amare, impostazione che l’uomo fa fatica a riconoscere e a praticare. Ama davvero colui che prega molto; riesce ad amare con la generosità, con l’apertura di cuore, con la fedeltà, con la capacità di sacrificio e di dono di sé di Cristo, chi tale amore a Cristo lo domanda. E’ illusione pensare di riuscire a fare comunione tra noi con le sole nostre forze: assistiamo a tante divisioni, a tanti rapporti spezzati, a tante liti e contese; noi stessi sperimentiamo personalmente in noi chiusure, diffidenze, distanze, pregiudizi.
Madre Teresa è stata un campione d’amore, la sua carità ha meravigliato il mondo; richiesta un giorno da un giornalista: “Madre, quali motivazioni hanno le sue sorelle per fare tutto quello che fanno?”, rispose: “Esse amano Gesù e trasformano in azione vivente quell’amore. Servire i più poveri dei poveri non è la nostra vocazione. La nostra vocazione è appartenere a Cristo”. I santi avevano la giusta impostazione del problema.
C’è bisogno d’amore nel mondo, tutti lo vediamo; ma è sufficientemente chiaro al mondo, alle persone, che se non chiediamo a Dio che ci aiuti ad amare, amore nel mondo non ce ne sarà mai, o sarà troppo poco, sempre insufficiente? C’è grande sforzo e impegno d’amore, ma ci dev’essere più preghiera, più vita con Cristo, più amicizia e rapporto con lui.
don Giovanni Unterberger