5^ domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

William Blake – The Good ed Evil Angels – 1795-1805 circa

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(1Pt 3,8-15;   Mt 5,20-24)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 5 luglio 2020

Il Vangelo ci chiama ad una carità alta: a non adirarci con il fratello, a non lasciarci sfuggire di bocca nessuna parola ingiuriosa, offensiva; e anche l’apostolo Pietro ci ha invitati alla carità: “Siate partecipi delle gioie e dei dolori gli uni degli altri. Non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma, al contrario, rispondete benedicendo”. Di inviti alla carità abbiamo continuo bisogno, perché è così facile mancare a questa virtù, regina delle virtù!

Ma in questa meditazione vogliamo soffermarci su una frase dell’apostolo Pietro tanto bella e tanto liberante: “Chi potrà farvi del male, se sarete assidui nel bene?” Di male possiamo riceverne molto: torti, offese, incomprensioni, cattiverie, ingiustizie, calunnie, tradimenti…; eppure l’apostolo afferma che tutto ciò potrebbe non farci del male. Evidentemente non può intenderlo nel senso che queste cose non ci farebbero soffrire, non ci farebbero ‘sentir male’ (non sarebbe possibile), ma egli afferma che esse possono non ‘farci’ del male. In che senso, e perché?

Tutto sta nel capire e nel comprendere quale sia il vero male. Vero male dell’uomo non è tout-court ciò che ci fa soffrire; ci può essere qualcosa che ci fa soffrire e che nostro vero male non sia, e che anzi, addirittura, sia per noi un bene. L’esperienza ce lo dice. Vero male per l’uomo è allontanarsi da Dio, vivere senza di lui, dimenticarlo, impostare la vita su principi e progetti propri e non sull’osservanza dei suoi comandamenti: questo è il male, che ci porta alla rovina.

Ora, se una persona vive bene, cerca il bene, vive unita a Dio, si sforza di fare in tutto la sua santa volontà, questa persona è al riparo dal male, dal vero male; nessuno può farle vero male; potrà farla soffrire, ma non ‘farle vero male’. Infatti Pietro dice: “Chi vi potrà fare del male, se sarete assidui nel bene?” Questa visione delle cose è estremamente liberante, ci mette al riparo da tutto. Nessuna offesa, nessun torto, nessuna azione cattiva contro di noi può rovinare il nostro cammino con Dio, la nostra ricerca del bene, il nostro destino eterno, cioè il nostro vero bene. “Poco importa, poco importa…” può dire il credente che vive in Dio, di tutto ciò che, pur doloroso, non lo distoglie dal Signore.

E’ straordinario quanto san Giovanni Crisostomo (349-407), vescovo di Costantinopoli esiliato due volte e morto lontano dalla sua sede, sulle rive del Mar Nero, disse in un’omelia: “Molti marosi e minacciose tempeste ci sovrastano, ma non abbiamo paura di essere sommersi, perché siamo fondati sulla roccia. Infuri pure il mare, non può sgretolare la roccia, che è Cristo. Cosa dovremmo temere? La morte? ‘Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). Allora l’esilio? ‘Del Signore è la terra e quanto contiene’ (Sal 24,1). La confisca dei beni? ‘Non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portarne via’ (1Tm 6,7). Disprezzo le potenze di questo mondo e i suoi beni mi fanno ridere.  Cristo è con me, di chi avrò paura? Anche se si alzano contro di me i cavalloni di tutti i mari o il furore dei principi, tutto questo per me vale meno di semplici ragnatele. Il Signore è la mia torre, la pietra inamovibile, il bastone del mio sicuro appoggio”.

San Giovanni Crisostomo si sentiva sicuro da tutto, perché fondato su Cristo e in comunione con lui. Nulla poteva fargli vero male, perché nulla insidiava il suo rapporto col Signore. Possa anche la nostra vita essere così radicata in Dio, e la nostra amicizia con lui venire a tal punto coltivata, da non essere scalfita e rovinata da niente e da nessuno.

don Giovanni Unterberger

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