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(Is 55,10-11; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23)
sabato, 11 luglio 2020
Il capitolo 13 del Vangelo di Matteo, di cui nel brano evangelico abbiamo ora udito l’inizio (il seguito lo sentiremo nelle prossime due domeniche), riporta, una dopo l’altra, sette parabole raccontate da Gesù. Non è da pensare che Gesù le abbia raccontate in fila tutte lo stesso giorno, anche perché il loro sfondo è diverso: l’una parla di campi seminati e coltivati, l’altra di lavori svolti in casa, un’altra ancora, ambientata sul lago, parla di una rete che pesca pesci; e sappiamo che Gesù era solito prendere spunto, per le sue parabole, dall’ambiente e dalla situazione in cui lui e i suoi ascoltatori si trovavano. Fu piuttosto l’evangelista Matteo a riunirle insieme, in quanto trattano tutte dello stesso argomento: il Regno dei cieli.
La parabola di oggi, del seminatore, ci insegna alcune cose. Una prima è: come sia Dio, come sia fatto il suo cuore. Il seminatore della parabola, immagine del Signore, è un seminatore straordinariamente generoso, getta il seme dappertutto: non solo sul terreno buono, ma anche sulla strada, anche tra i sassi e tra i rovi, dappertutto! Non è avaro il Signore nei suoi doni! non è affatto avaro, è estremamente generoso e, diremmo noi, addirittura un po’ improvvido. Ma tant’è: egli è dono, solo dono, e per nulla calcolo! Forse che in lui ci fu calcolo nell’inviare il suo Figlio, il suo unico Figlio, tra gli uomini, accettando che venisse messo in croce? Forse che in lui c’è calcolo nel trattare con noi? Quanta pazienza con noi! quante volte egli ci chiama e quanti inviti al bene egli ci rivolge, e noi li lasciamo cadere, non li accogliamo, siamo davanti a lui ‘strada’, ‘sassi’ e ‘rovi’; ed egli non si ritira, non si stanca, torna a chiamarci, a sollecitarci, capace di attesa e ricco di speranza: chissà che a un certo punto non diventiamo terreno buono…
La generosità di quel seminatore vuole rompere i nostri calcoli, le nostre strette misure, le nostre meschinerie con cui trattiamo Dio e i fratelli: ‘quello merita, quello non merita…; quello mi ha dato, quello non mi ha dato…; da quello posso ottenere, da quello non posso ottenere…’. Più generosità, e meno calcolo!
Un secondo insegnamento il brano evangelico ci vuole dare: esso è legato al finale della parabola, alle parole che la concludono. Gesù dice: “Chi ha orecchi, ascolti”. Occorre avere orecchi per ‘ascoltare’; non è sufficiente ‘udire’, occorre ‘ascoltare’; cioè occorre ‘voler’ udire. L’insegnamento di Gesù chiede di essere ‘ascoltato’. Davanti al Signore che parlava in parabole per meglio farsi capire, stava gente aperta ad accogliere quanto diceva, e gente invece che rimaneva chiusa; per cui agli apostoli poi, in privato, con una punta di sofferenza, Gesù confidò: “Guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono”; in loro si rinnovava quanto già era accaduto al tempo del profeta Isaia: ‘Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca’.
Per cui la conseguenza è, concluse Gesù, che: “A colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha”, cioè: ‘a colui che ha la buona disposizione di ascoltare e mettere in pratica le mie parole verrà dato il mio dono e sarà nell’abbondanza; chi invece non ha tale disposizione di cuore verrà impoverito anche del bene che possiede, perché senza di me e senza il mio insegnamento il bene nell’uomo non riesce a perseverare e non si conserva’.
La parabola del seminatore ci chiama ad un esame di coscienza, a chiederci in che misura il seme della Parola di Dio, che con tanta abbondanza e generosità da parte del Signore ci viene donato, riesce a scendere in noi, nel nostro cuore, nella nostra vita. Se riesca a portare frutto, a trasformare un po’ alla volta il nostro essere, il nostro vivere e il nostro operare. La Parola di Dio è potente, ma noi, nella nostra libertà e nella nostra insensatezza e trascuratezza, potremmo renderla inefficace. Faremo in modo che ciò non avvenga.
don Giovanni Unterberger