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(Is 55,6-9; Fil 1,20-27; Mt 20, 1-16)
Duomo di Belluno, 20 settembre 2020
Non è facile mettersi nei panni degli altri. Non furono capaci di farlo gli operai della prima ora, nei confronti di quelli dell’ultima. “Ma come? Questi hanno lavorato un’ora soltanto, dalle cinque alle sei del pomeriggio, e hanno ricevuto la stessa paga di noi che abbiamo lavorato fin dalle sei del mattino e abbiamo sopportato anche tutto il caldo della giornata. Non è giusto!” In tal modo il denaro che ricevettero a compenso del loro lavoro, e che avrebbe dovuto arrecare loro gioia, fu disturbato e avvelenato dall’invidia. “Voi siete invidiosi -li rimproverò il padrone della vigna- non posso fare delle mie cose ciò che voglio? Prendete ciò che vi è dovuto, e andatevene”.
Il denaro che i lavoratori della prima ora avevano guadagnato era quanto era loro necessario per mantenere per quel giorno la famiglia. A sera avevano potuto provvedere a moglie e figli. Quanta sofferenza se non l’avessero potuto fare! quanto dev’essere doloroso per un padre non riuscire a sfamare i propri figli! vederli soffrire la fame!
Questo loro problema era anche il problema degli operai dell’ultima ora; anch’essi avevano famiglia, moglie e figli cui provvedere; anch’essi avevano bisogno di lavorare e guadagnare; solo che erano stati ingaggiati e inviati nella vigna soltanto un’ora prima del tramonto. A casa avrebbero potuto portare ben poco, qualcosa di insufficiente, e nelle loro case, quella sera, non ci sarebbe stata gioia, ma sofferenza, tensione e preoccupazione.
Non avrebbero forse dovuto, gli operai della prima ora, desiderare che anche nelle case dei loro compagni dell’ultima ora ci fosse gioia e serenità alla pari che nelle loro? Un animo buono non avrebbe dovuto forse pensare così? Ma il denaro, l’attaccamento al denaro, perverte i cuori, anche i sentimenti più buoni e più nobili. Roberto Rigoni, sindaco di Asiago, ebbe a dire -non so esattamente se nel corso di una seduta del Consiglio comunale o in altra occasione- : “Bisognerebbe mettersi un po’ più spesso nei panni degli altri e chiedersi: ‘Se fossi io al suo posto’; ciò ci renderebbe tutti migliori”.
Il padrone della vigna diede un denaro anche agli operai dell’ultima ora; volle che anche le loro famiglie avessero il necessario, benché -a stretta giustizia- i loro capifamiglia non l’avessero guadagnato.
Gesù era diverso dagli scribi e dai farisei, di cui si poteva dire: ‘dicono e non fanno’ (Mt 23,3); Gesù, quanto diceva, lo faceva. Aveva raccontato la parabola che abbiamo ora sentito, con cui esortava ad avere un cuore generoso verso i fratelli, capace di accordare loro anche il non dovuto, capace di gratuità e di dono al di là dei meriti; ed egli si comportò conseguentemente a quanto insegnava: chiamò tra i suoi apostoli Matteo che era un pubblicano e non meritava certo di diventare uno dei Dodici; difese l’adultera, che meritava di essere lapidata; e -momento più alto di tutti- accordò in extremis il paradiso al ladrone che era in croce per le sue malefatte e non poteva più compiere alcuna opera buona: “Oggi sarai con me in paradiso”, gli disse (Lc 23,43). Un Inno della Liturgia canta: “Gli angeli guardano attoniti il supplizio della croce, da cui l’innocente e il reo salgono uniti al trionfo” (Inno dell’Ufficio delle Letture del tempo pasquale). Gesù, il santo, colui che stava meritando la salvezza per tutto il mondo e per tutta l’umanità, stava entrando in paradiso assieme a uno che meriti proprio non ne aveva, donandogli il paradiso con un gesto di estrema e totale gratuità.
Usciamo dallo schema del puro ‘dovuto’, siamo generosi! Anche noi siamo trattati da Dio con generosità e con piena gratuità: siamo continuamente da lui beneficati, da lui continuamente perdonati e amati. Amiamo e doniamo, al di là di quanto meritato; e saremo veri figli di Dio, somiglianti a lui, somiglianti a quello che egli è e fa.
don Giovanni Unterberger