Fragilità

L’uomo, considerando se stesso, oscilla facilmente tra due estremi: ora si sente forte, importante, ‘onnipotente’, ora si sente debole, fragile, ‘un nulla’. In effetti l’uomo è una realtà nobile e grande, è creatura pensante in mezzo a un universo privo di intelligenza e di autocoscienza. L’uomo ha compiuto, lungo i secoli, conquiste straordinarie nel campo della scienza, della tecnica, del sapere; domina molte cose. “Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato”, recita il salmo. E pur tuttavia l’uomo è qualcosa di fragile: ha un arco di vita breve sulla terra; è attaccabile da dolori e malattie; è impotente di fronte ai grandi fenomeni della natura.

Il libro della Genesi, con un’immagine poetica ma altamente significativa, descrive l’uomo così: “Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo…” (Gn 2,7). ‘Polvere’, in ebraico si dice afàr ( עָפָר ), e indica il sottile strato di infiniti e piccolissimi granellini che ricoprono il suolo. Con questi granellini Dio plasmò l’uomo. E lo plasmò con la polvere ‘del suolo’. In ebraico ‘suolo’ si dice adamàh ( אדֲָמָה ), parola della medesima radice della parola adàm (אָדםָ ), uomo. L’uomo, dunque, è fatto di ‘suolo’!

Anche il salmo 8 si occupa dell’uomo, e oltre a indicarne la grandezza e la dignità, ne afferma la fragilità; lo chiama anch’esso adàm, ‘manciata di polvere’, e vi aggiunge la parola enòsh ( אְֶנוֹשׁ ). Tale termine solitamente ricorre nella Bibbia in contesti in cui l’uomo è paragonato all’erba che oggi è e domani non è più, all’erba che al mattino fiorisce e alla sera avvizzisce (cfr Sal 103,15; Is 51,12). L’uomo è ‘un filo d’erba’. Ben poca cosa!

La fragilità è condizione esistenziale dell’uomo; la riconosce solo l’umile, colui che sa guardare con lealtà la realtà di se stesso.

Nei miei anni giovanili ebbi l’occasione di imbattermi in un libro che per me fu preziosissimo, scritto da Giovanni Albanese e edito da Cittadella-Assisi, dal titolo “Così disse Gesù”. Raccoglieva il commento a varie frasi del Vangelo, in un modo chiaro, spigliato e avvincente. Ne riporto una pagina:

“L’uomo si guardò allo specchio del fonte, si ammirò e disse: ‘Io sono perfetto’. Inseguì una cerva, la colpì e l’uccise, poi disse: ‘Io sono forte’. Salì su di un monte, si vide in alto e proclamò: ’Io sono grande’. Fregò due selci e accese il fuoco e affermò: ‘Io posso’. Numerò le stelle del cielo, diede loro un nome e dichiarò: ‘Io so’. Poi in una triste giornata di pioggia si rintanò nel suo speco e, per ammazzare il tempo, si diede a ruminare i suoi crucci e sentenziò: ‘Io penso, dunque io sono!’ In una radiosa giornata di primavera conobbe l’amore e cantò: ‘Io sono felice’. Scavò nella terra e vi trovò l’oro e concluse: ‘Io sono ricco e soddisfatto, non ho bisogno di alcuno, ho tutto da me’.
Passò un anno, due anni, molti anni… l’uomo tornò al suo fonte, si rispecchiò, ma la bellezza era svanita. ‘Dunque -disse- non era mia: qualcuno me l’aveva prestata e poi l’ha ripresa’. Scorse una cerva, volle inseguirla, ma non ne ebbe la forza. Volle salire sul monte, ma si fermò a metà strada, curvo e senza fiato. Sfregò due selci e ne trasse la fiamma; ma prese fuoco tutta la foresta, e l’uomo corse il rischio di perire lui stesso in quell’immane conflagrazione. Tentò di ricontare le stelle del cielo, ma i suoi numeri non bastarono più e deluso mormorò: ‘Chi sa!’ Capì che in realtà egli non possedeva nulla, che aveva tutto ricevuto e tutto poteva essergli tolto. Sentì che anche la vita gli sfuggiva e che non gli sarebbe riuscito di trattenerla né un giorno, né un’ora di più. Capì allora che s’era sbagliato e che la prima e più grande illusione era stata nel dire: ‘Io sono grande, io sono forte, io posso, io so… io ho tutto da me’ ”.

La fragilità è maestra severa, riporta l’uomo alla verità di se stesso; ma non gli impedisce di sentirsi amato; non gli preclude, certo, l’amore di Dio, che sulla sua creatura si piega con tenerezza (cfr Sal 145,9), e che, incarnandosi, ha addirittura preso su di sé la fragilità dell’uomo.

don Giovanni Unterberger

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