5^ domenica di Quaresima – anno B

Vincent van Gogh – Campo di grano con cipressi – 1889

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(Ger 31,31-34; Ebr 5,7-9; Gv 12,20-33)  (Anno B)

“Vogliamo vedere Gesù”.

Mancavano pochi giorni alla Pasqua dell’anno 30 d.C., la pasqua in cui Gesù sarebbe morto e risorto (mancavano forse un paio di settimane), e già cominciavano ad affluire a Gerusalemme pellegrini da ogni dove; non solo ebrei, ma anche pagani, anche gente di cultura greca e di religione pagana, simpatizzante dell’ebraismo e della fede in JHWH.

Ecco che il Vangelo ci ha detto che alcuni Greci dissero all’apostolo Filippo: “Vogliamo vedere Gesù”.

Grande domanda e grande desiderio: “Vogliamo vedere Gesù, vogliamo incontrarlo, vogliamo conoscerlo, vogliamo vedere come è fatto, vogliamo sentire le sue parole, vogliamo sentirlo parlare. Lui ci interessa, ci ha affascinati ancor prima di conoscerlo. Vogliamo vederlo. Ci porteresti da lui?”

C’è una rivista mensile, una rivista di ascetica, édita dalla casa editrice “Casa di Nazareth” con sede a Roma, che porta questo titolo: “Lo conosci Gesù?”. Ogni volta che mi arriva un numero di quella rivista e leggo quel titolo sento dentro di me una provocazione: io, Gesù, lo conosco?

Sì, so che è esistito, che ha fatto tanto del bene, che è morto per me sulla croce, che è risorto e ora vive in cielo; so tutte queste cose e molte altre di lui, ma posso dire di conoscerlo davvero? Una persona la si conosce davvero se la si frequenta, se le si parla, se la si ascolta, se si passano ore insieme a lei, se con lei ci si confronta, se con lei si stabilisce un rapporto di comunione, e tale rapporto lo si coltiva ogni giorno.

Io lo conosco davvero Gesù? Posso dire di conoscerlo?

A quei Greci Gesù si fece conoscere nella sua realtà più alta, quella in cui anche in questa pasqua egli vuole farsi conoscere a noi. Gesù a quei Greci rispose, parlando di sé: “In verità vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Era lui, sarebbe stato lui quel chicco di grano deposto nella terra, nel sepolcro, morto, che avrebbe portato molto frutto, che avrebbe portato salvezza a tutto il mondo. Morte che ha dato la vita.

Conoscere un Gesù così era un rischio, poteva diventare cosa pericolosa. Non è che avrebbe chiesto a chi lo avesse conosciuto di fare altrettanto, di percorrere la stessa strada, di condividere lo stesso destino? Era proprio così.

Difatti Gesù continuando disse a quei Greci: “Se uno mi vuol servire, mi segua. Chi ama la propria vita, la perderà e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”.

A tradurre esattamente il testo greco dovremmo dire: “Chi tiene stretta a sé la propria vita terrena, così da non darla via, così da non spenderla per Dio e per i fratelli, la manda in rovina, la rende infruttuosa e la mette a morte; chi invece odia la propria vita terrena, nel senso che non la tiene per sé, ma sa farne dono a Dio e ai fratelli, costui la inserisce, la immette in Dio, la immette nella vita stessa di Dio, e così dà alla propria vita terrena un valore e una durata di eternità, la conserva e la custodisce per sempre; non la perde in eterno”. È il morire per una vita nuova, per una vita più grande e più bella, frutto del dono di sé.

Conoscere Gesù vuol dire percorrere la stessa sua strada, come ha fatto lui; altrimenti lo conosceremmo solo a livello di idea, di ragionamento, di speculazione, ma non a livello di vita, di amicizia, di comunione e di condivisione.

Conoscere il Cristo morto e risorto significa accettare di morire a noi stessi per dare a noi stessi la vita vera, e per dare vita ad altri; significa amare anche con sacrificio di sé; significa servire la felicità e il bene degli altri con rinuncia a sé stessi. È questo il vero conoscere Gesù, ed è questo il vero salvare la propria vita.

Nell’eternità noi ritroveremo di noi solo i gesti d’amore e di dono che avremo posto in questa vita, solo ciò che avremo donato a Dio e ai fratelli; tutto il resto cadrà. “La carità non avrà mai fine” (1Cor 13,8); solo la carità non avrà mai fine.

Quanto allora dei miei quaranta, cinquanta, settanta, ottant’anni vissuti quaggiù entrerà nell’eternità? Entreranno tutti? Entreranno per tre quarti? Per metà soltanto?

Nella pasqua ormai vicina avremo modo di contemplare Cristo, chicco di grano caduto in terra, che fa dono di sé, che muore e risorge. Da quella contemplazione impareremo e riceveremo la forza di fare della nostra vita un dono, per salvarla e per darle valore e significato per sempre.

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