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(Mt 6,24-33)
Domenica 3 settembre 2023, risalente al 2011
Gli antichi greci e romani pensavano che la storia umana fosse fatta dagli dèi, anzi che gli dèi stessi fossero sottomessi al Fato, una realtà anonima e senza volto che aveva tutto e da sempre deciso lo svolgimento della storia umana, per cui agli uomini non era lasciata alcuna libertà e nessuna autonomia di scelta. Tutto era stato deciso prima dell’uomo e senza l’uomo.
Oggi il pensiero moderno corre su binari opposti. Tende a considerare la storia come opera unicamente dell’uomo. L’uomo sarebbe l’unico artefice e costruttore della storia.
Gesù ci dice che la storia, sia la grande storia di tutta l’umanità, sia quella particolare di ogni singolo uomo, è fatta dall’uomo e da Dio insieme. C’è una Provvidenza, c’è un Dio che è presente e che agisce nella storia; non tutto è fatto dall’uomo; c’è anche lui, Dio, che è un Dio “dentro” la storia.
Gesù con la pagina di vangelo che abbiamo ascoltato, vuole darci pace e tranquillità, vuole darci quella sicurezza che noi, in fondo al nostro essere, cerchiamo nella vita e nello svolgersi del mutevole susseguirsi degli eventi.
“Che ne sarà di me domani? che ne sarà di me fra dieci anni? negli anni della mia vecchiaia? e che ne sarà dei miei cari?” Domande così non è possibile che non ci affiorino alla mente, ma esse non devono impaurire il cuore. Gesù ci dice: “Abbiate fiducia! c’è un Padre che pensa a voi; c’è un Padre che ha cura di voi”.
Quel Padre non fa ciò che dobbiamo fare noi (ai gigli del campo egli fa arrivare il sole e la pioggia là dove essi sono, perché sono fissati al suolo dalle radici e non hanno la possibilità di muoversi; agli uccelli del cielo invece egli chiede che si cerchino il cibo là dove essi lo possono trovare, perché sono dotati di ali; e a noi uomini Dio chiede che mettiamo in opera le nostre capacità di mente, di cuore e di forze fisiche per procurarci ciò che ci è necessario), ma accanto al nostro sforzo, al nostro impegno e al nostro lavoro c’è la sua opera. “Non affannatevi dunque, non preoccupatevi”, dice Gesù. Il verbo “merimnào” (μεριμνάω) = “affannarsi, preoccuparsi” ritorna quattro volte nel nostro brano, e una quinta volta nel versetto che immediatamente lo segue.
L’affanno e la preoccupazione non sono cristiani; essi sono figli della nostra umanità non ancora totalmente appoggiata su Dio, non ancora spalancata e sanata da Cristo. Appoggiati su Dio, noi godiamo di una grande sicurezza. Non della sicurezza di chi si sente sicuro che non avrà nessun problema, nessuna difficoltà, nessun dolore, ma la sicurezza di chi sa che in ogni problema, in ogni difficoltà, in ogni dolore egli non è solo, ma ha Dio con sé. Dietrich Bonhoeffer scrisse: “Dio non ci protegge da ogni sofferenza, ma ci sostiene in ogni sofferenza”.
E’ questa fede, questa fiducia che noi dobbiamo alimentare. La fiducia e la certezza che Dio non ci abbandonerà mai, in nessuna evenienza; che anche “se dovessimo attraversare le acque, i fiumi non ci sommergeranno, anche se dovessimo passare in mezzo al fuoco, la fiamma non ci brucerà (sto citando il profeta Isaia), perché Dio è con noi, gli apparteniamo, siamo suoi” (Is 43,1-3); “ci ha disegnato sul palmo della sua mano” e non ci potrà dimenticare (Is 49,16); egli è capace di “farci camminare su aspidi e vipere, schiacciare leoni e draghi”, dice un salmo (Sal 91,13); può farci camminare sulle acque, cioè su situazioni che di per sé non tengono su, come Pietro sul lago di Genezaret (Mt 14,29), se noi terremo la nostra mano nella sua e non ci lasceremo vincere dalla paura pensandoci soli.
La divina Provvidenza! Era una certezza di fede molto forte una volta, nei nostri avi; lo sia, per grazia di Dio, anche oggi, in noi.
don Giovanni Unterberger