4^ domenica di Quaresima – forma ordinaria

Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino – Ritorno del figliol prodigo – 1619

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(Gios 5,9a.10.12;   2Cor 5,17-21;   Lc 15,1-3.11-32)

Sabato 29 marzo 2025, risalente al 5 marzo 2016

Santa Teresa di Gesù Bambino diceva: “Non esagereremo mai nell’immaginare quanto sia grande la misericordia di Dio; non esagereremo mai; è infinita”. San Bruno, il fondatore dei Certosini, passava ore e ore a ripetere: “O bonitas! O bonitas! O bontà di Dio!”.  “Dove sarei io, o Dio, senza la tua misericordia, senza il tuo perdono?”, scriveva uno scrittore anonimo dei primi secoli della Chiesa. Per la misericordia di Dio noi possiamo essere ancora nella casa del Padre, benché peccatori. Peccatori pentiti e perdonati, riammessi alla casa del Padre. La parabola del figliol prodigo e del padre buono ce lo assicura.

Il padre della parabola non cessò mai di considerare ‘figlio’ il suo figlio che se n’era andato via di casa, stanco di stare a casa, stufo di suo padre. Il figlio, una volta tornato, non si sentiva più invece ‘figlio’; la condizione di figlio gli sembrava ormai impossibile e perduta per sempre, dopo quello che aveva fatto: aveva esagito la sua parte di eredità da suo padre ancora vivo; aveva sperperato tutto; aveva frequentato viziosi e prostitute; era finito a livello dei porci. Come sentirsi ancora ‘figlio’? “Trattami come uno dei tuoi salariati, come uno dei tuoi servi”, disse al padre.

Ma il padre gli disse: “Figlio!” Ai servi quel padre ordinò: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Questo mio figlio! Per quel padre quel figlio gli era ancora ‘figlio’! Poteva averlo offeso, poteva avergli procurato un grande dolore, poteva essergli stato infinitamente ingrato, poteva ora stargli davanti lacero e sporco, quasi irriconoscibile, ma quel figlio gli era sempre ‘figlio’! Era suo figlio.

Noi siamo figli. Dio ci considera ‘figli’. Ai suoi occhi noi non abbiamo mai perduto la nostra figliolanza, per quanto possiamo aver peccato, per quanto possiamo averlo offeso, disgustato e amareggiato, per quanto possiamo esserci rovinati e deturpati. Siamo suoi figli. Dio Padre è ancora disposto ad accoglierci nella sua casa, a darci l’abbraccio di pace, a rivestirci della sua grazia, a fare festa per noi; a dirci: “Figlio, siediti alla mia mensa come sempre, come prima che te ne andassi; tu sei mio figlio”.

La condizione è che noi torniamo a Dio; la condizione è che noi ci pentiamo dei nostri peccati e ci impegniamo sinceramente in una vera conversione. “Ritorna, Israele, dice il Signore. Non ti mostrerò la faccia sdegnata, perché io sono pietoso. Su, riconosci la tua colpa, perché sei stato infedele al Signore tuo Dio, non hai ascoltato la mia voce. Mi hai dimenticato per giorni innumerevoli. Come sai scegliere bene la tua via in cerca di amori….” (Ger 3,12-13; Ger 2,32-33). Quante volte il nostro ‘amore’ non è stato Dio, ma sono state le cose, le persone, le ambizioni, il nostro ‘io’, noi stessi in modo sbagliato e disordinato! Quante volte! Abbiamo bisogno di chiedere perdono; abbiamo bisogno di tornare ‘a casa’ da nostro Padre, dirgli: “Padre, ho peccato”, e rimanere in quella casa; nella sua casa. In quella casa c’è gioia, pace, comunione con Dio e con i fratelli.

“La santità si addice alla tua casa, Signore”, dice un salmo (Sal 95,3). La casa di Dio è fatta per i santi, cioè per coloro che tendono alla santità; per coloro che sbagliano e vengono meno di continuo perché sono deboli, ma che non fanno pace con i propri difetti, e di continuo si riprendono. Se cadono cento volte, cento volte si rialzano e tornano al Signore.

Il figlio della parabola rientrò in se stesso e disse: “Ho sbagliato, tornerò da mio padre, a casa”, e tagliò col passato. Anche noi: tagliare col passato, con certi difetti, con certe abitudini cattive, con certi peccati. Può essere che cadiamo ancora, ma ci sia, nella volontà, una decisione ferma e forte: non voglio più peccare. Ed allora troveremo Dio, lo troveremo che ci accoglie, che ci getta le braccia al collo, che si commuove per noi, che ci dà tutto quello che può darci. Egli ci terrà per sempre stretti a sé e ci donerà salvezza nella sua casa, cioè nel suo cuore di padre.

don Giovanni Unterberger

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