Domenica di Quinquagesima

(1 Cor 13,1-3; Lc 18,31-43)

2 marzo 2014

“Taci! Non importunare il Maestro, ha tanta gente attorno a sé; sta parlando con le persone. Finiscila di gridare!”

Con queste o simili parole le persone vicine al cielo di Gerico cercavano di dissuaderlo dal gridare verso Gesù. Ma quel cieco non si lasciò fermare dalle rimostranze e dai rimproveri che gli venivano mossi; anzi, gridò ancora più forte e con maggiore insistenza: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!” E gridò fino a farsi sentire; Gesù lo sentì; gli si avvicinò e gli chiese: “Cosa vuoi che io faccia per te?” – “Signore, che io veda!”,egli rispose. E accadde il miracolo.

L’inizio di ogni miracolo, di ogni guarigione, parte da un grido, da una richiesta, da una preghiera. Parte dalla preghiera, perché quando una persona prega, quando una persona chiede e domanda, è segno che si è resa conto del suo bisogno, della sua necessità, della sua condizione di povertà, e fa quel vuoto dentro di sé (vuoto del proprio “io”) che permette a Dio di riversare in lei il dono. Riceviamo poche grazie nell’ordine spirituale perché chiediamo poco. Progrediremmo molto nella vita dello spirito, se pregassimo, se chiedessimo molto! San Giacomo nella sua lettera lo dice esplicitamente: “Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male” (Gc 4,2-3).

Dovremmo diventare specialisti nel domandare. “Signore, dammi l’umiltà; Signore, dammi la carità; Signore, dammi la castità; Signore, dammi la speranza; Signore, dammi la pazienza; Signore, dammi tutte le virtù di cui ho bisogno. Signore, dammi te stesso!”

La regina delle virtù è la carità. San Paolo ce l’ha detto nella prima lettura: “Tutto passerà. Tre cose sono le cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di tutte è la carità”.

Ci domandiamo: la carità ha un qualche nesso con la cecità? La liturgia di oggi ci mette davanti l’inno alla carità e l’episodio del cieco di Gerico guarito; c’entrano le due cose tra di loro: la carità e la cecità?

Possiamo dire di sì. Vero vedente è l’uomo che ha carità; vero cieco è l’uomo che non ha carità. L’uomo che non ha carità è tutto preso del suo “io”, dal suo egoismo, dalla ricerca del proprio interesse, e non vede bene al di fuori di sé; non vede che se stesso. Non vede l’amore di Dio; non si coglie amato e accompagnato da lui; pensa di poter fare senza Dio, senza ricorrere alla forza e alla grazia del Signore.

L’uomo che non ha carità non vede il prossimo, non coglie e non scorge le necessità del fratello, della sorella; non ha sensibilità per chi è nel dolore, nella prova; è troppo chiuso in se stesso. Pensiamo al ricco epulone che aveva alla sua porta il povero Lazzaro, e non lo soccorreva (Lc 16,19-21).

Il mondo ha bisogno di persone che vedono, che vedono con il cuore. Vede di più colui che ama di più. C’è un vedere con gli occhi, c’è un vedere con la mente, e c’è un vedere col cuore. Il vedere col cuore arriva più in là di ogni altra capacità di vedere.

Ci ha visti col cuore Dio dal cielo, ed è venuto a salvarci; vedeva col cuore, Gesù, le persone, le folle, gli ammalati, gli indemoniati, e li guariva. Oggi egli deve guarire noi, aprire gli occhi del cuore a noi, perché il mondo non sia un mondo di ciechi, ma un mondo di vedenti, di persone che vedono; persone che vedono perché amano.

Chissà quanto dolore avrà visto padre Massimiliano Kolbe sul volto di quel padre di cinque figli scelto dalle SS a finire nel bunker della fame ad Auschwitz; lo vide con gli occhi del cuore e lo sostituì nel luogo della morte. Madre Teresa vedeva con gli occhi del cuore i poveri e i moribondi di Calcutta, e non riusciva a fare a meno di soccorrerli. Abbiamo bisogno di essere guariti nel cuore. Abbiamo bisogno di vedere; abbiamo bisogno di carità.

Oggi abbiamo la grazia di Gesù che ci si avvicina e ci chiede: “Cosa vuoi che io faccia per te?” Non perdiamo l’occasione; diciamogli come il cieco di Gerico: “Signore che io veda!” – “Signore dammi occhi nuovi, occhi d’amore; dammi i tuoi occhi!”

E insistiamo con questa preghiera, perché il cieco di Gerico fu guarito proprio per la sua insistenza, perché non desistette dal chiedere e dal domandare.

 

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