(Tito 2,11-15; Lc 2,21)
Belluno, chiesa di s. Stefano, 1gennaio 2015
Trascorsi otto giorni dalla nascita di Gesù, Giuseppe e Maria, fedeli alla legge di Mosè, provvidero a che Gesù venisse circonciso. A circoncidere un bambino doveva essere il padre, a meno che il padre non fosse in grado di farlo; nel qual caso veniva incaricato un uomo esperto che circoncidesse il bambino in sua vece. Possiamo immaginare che a circoncidere Gesù sia stato Giuseppe stesso.
In occasione della circoncisione al bambino veniva imposto il nome. L’evangelista Luca ci ha detto: “Gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre”. Il nome “Gesù” era stato indicato a Maria dall’angelo Gabriele il giorno dell’Annunciazione (Lc 1,31); era dunque un nome dato a Gesù “dall’alto”, “dal Cielo”.
Anche noi abbiamo un nome datoci “dall’alto”, “dal Cielo”. Accanto al nome datoci dai nostri genitori il giorno del battesimo, abbiamo un nome da Dio direttamente; esso è “amato, pensato fin dall’eternità; figlio di Dio; redento dal sangue di Cristo; santificato dallo Spirito Santo; tempio e dimora della Santissima Trinità; erede del Cielo; chiamato ad una eternità beata”. Questo è il nostro vero nome; con questo nome ci chiama Dio. Questo noi siamo per lui, e questo è il nome della nostra vera carta di identità; il nostro vero essere.
Ci accade forse di dimenticare alle volte questo nome? E’ importante ricordarlo; ricordarlo per onorarlo, ricordarlo per vivere di conseguenza, in conformità ad esso.
La prima conseguenza di questo nome è la gioia; la gioia e la riconoscenza per avere ricevuto un nome così. E’ un nome di salvezza; un nome che ci ricorda che siamo importanti per Dio, che gli siamo preziosi, che egli è con noi, che gli siamo fissi nel cuore,e che egli ci salva. Gioia e riconoscenza, dunque, per questo nome!
E’ un nome, poi, che ci impegna. Oggi è il primo gennaio. La Liturgia ha già iniziato l’anno nuovo un mese fa, con la prima domenica d’Avvento, ma l’inizio dell’anno civile, oggi, ci sprona e ci invita ad una vita di impegno; ad una ripresa nel fervore.
San Paolo nella prima lettura ci ha invitati così: “Rinnegate l’empietà e i desideri mondani, vivete con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, siate il popolo che appartiene a Dio, zelante nelle opere buone”. Anzitutto l’apostolo ci invita a rinnegare l’empietà. Nel testo greco “empietà” è “asébeia”, che propriamente significa “irreligiosità”; è l’atteggiamento di chi vive senza riferirsi a Dio; di chi pensa, progetta, agisce in autonomia da Dio, senza pensare a lui. Questo atteggiamento è del tutto contrario al nostro nome, di noi che a Dio siamo legati fin nel più profondo del nostro essere ed esistere.
Poi l’apostolo invita a rinnegare i desideri mondani. I desideri mondani, quelli che caratterizzano il mondo segnato dall’egoismo, dall’arrivismo, dalla ricerca di se stessi e del piacere a qualunque costo, sviliscono la persona, le danno un nome e una fisionomia tutta diversa da quella bella e nobile che Dio ha pensato per l’uomo. Tali desideri sfigurano l’uomo, e sono da rinnegare, da rifiutare , da rigettare.
L’apostolo poi invita a vivere con sobrietà, con giustizia, con pietà; invita ad essere il popolo che appartiene a Dio. Si appartiene a Dio quando l’appartenenza oggettiva per cui siamo opera delle sue mani e siamo suoi, diventa anche soggettiva, e noi riconosciamo questa appartenenza nostra a Dio, la vogliamo, la desideriamo, la benediciamo, la sentiamo come un dono immenso del Signore; la favoriamo e la viviamo in tutti i modi, cercando in tutti i modi ciò che ci unisce a Dio, ed evitando in tutti i modi ciò che ci separa da lui. Essere un popolo che appartiene a Dio, zelante nelle opere buone, fa parte del nostro nome.
Abbiamo un anno nuovo davanti a noi, abbiamo tempo; Dio ci concede tempo. Viviamolo in conformità al nostro nome; anzi viviamolo sviluppando il nostro nome, perché sempre più possiamo essere figli di Dio; sempre più possiamo lasciarci redimere dal sangue di Cristo; sempre più possiamo favorire lo Spirito Santo che ci santifica; sempre più possiamo essere tempio e dimora della Santissima Trinità; sempre più possiamo diventare eredi del paradiso; sempre più possiamo imprimere nella nostra vita il nome che Dio ci ha donato.
Ci aiuti il Signore stesso in questa nostra opera.
don Giovanni Unterberger