2° Domenica dopo Natale (forma ordinaria)

(Sir 24,1-4. 12-16;   Ef 1,3-6. 15-18;   Gv 1,1-5. 9-14)

Duomo di Belluno, sabato 3 gennaio 2015

Chi è il bambino nato a Betlemme? Appena nato non si capì chi egli veramente fosse; la sua divinità era totalmente velata e nascosta dalla sua umanità. Dio, quel bambino? quel bambino che vagiva, che cercava il seno della madre, che sentiva il bisogno di essere stretto dalle braccia di Maria? Dio, quel bambino così piccolo, così fragile, così uguale a tutti i bambini appena nati?

Neppure da adolescente, da giovane, quando Gesù faceva il falegname a Nazareth, fu conosciuto e capito veramente per quello che egli era. Maria e Giuseppe, sì, cominciavano a capirlo sempre un po’ di più, ma la gente no. Un giorno i nazarethani dissero di lui: “Non è costui il falegname? Non è il figlio di Maria, il parente di Giacomo, di Giuda, di Simone? E si scandalizzavano di lui” (Mc 6,1-6). Durante la vita pubblica Pietro e gli apostoli arrivarono, come punto massimo della conoscenza di Gesù, a considerarlo il Messia che doveva venire (Mc 8,29); ma solo dopo la Pasqua, con l’aiuto dello Spirito Santo, gli apostoli furono certi della divinità di Gesù. Eppure Gesù era Dio fin da Betlemme, fin da quanto era piccolo in face, appena nato.

“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, ci ha detto Giovanni. Facendosi “carne”, il Verbo di Dio, Dio nella persona del Figlio, ha raggiunto ed è venuto ad agganciare “ogni carne”, ogni uomo.

L’uomo era precipitato in un burrone, dal quale, con le sue sole forze, non sarebbe stato mai più capace di risollevarsi. Ma il Verbo di Dio, incarnandosi, è sceso in quel burrone ed ha riportato l’uomo alla dignità originaria, alla comunione con Dio degli inizi. Alessandro Manzoni ha espresso questa verità in modo magistrale nel celebre inno “Il Natale”. Il poeta dice così:

“Qual masso che dal vertice  /  di lunga erta montana,

abbandonato all’impeto  /  di rumorosa frana,

per lo scheggiato calle  /  precipitando a valle,

batte sul fondo e sta;

là dove cadde, / immobile giace  /  in sua lenta mole,

né per mutar di secoli  / fia che riveda il sole

della sua cima antica  /  se una virtude amica  /  in alto nol trarrà:

tal si giaceva il misero  /  figliol del fallo primo

dal dì che un’ineffabile  /  ira promessa

all’imo d’ogni mal gravollo  /  donde il superbo collo

più non potea levar.

Qual mai tra i nati all’odio,  /  qual era mai persona

che al Santo inaccessibile  /  potesse dire: perdona?

far novo patto eterno?

al vincitore inferno  /  la preda sua strappar?

Ecco ci è nato un Pargolo  /  ci fu largito un Figlio,

le forze avverse tremano  /  al mover del suo ciglio:

all’uom la mano Ei porge  /  che si ravviva,

e sorge oltre l’antico onor.”

L’uomo era perduto; il bambino di Betlemme, il Dio fatto uomo, è venuto a prendere per mano l’uomo e a riportarlo là da dove era caduto; anzi più in su. “Oltre l’antico onor”, dice il Manzoni, in perfetta consonanza con san Paolo che nella lettera ai Romani dice: “Il dono di grazia non è come la caduta; laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,15. 20). Cristo ha riparato il male provocato dal peccato degli inizi in sovrabbondanza; non di stretta misura, ma in sovrabbondanza; secondo la sua infinita generosità, la generosità di un Dio.

Al bambino Gesù che ci tende la mano noi offriamo la nostra. Afferrati dalla sua mano, noi saremo salvi, saremo salvati; saremo portati là dove è lui, nel regno della gioia, della santità, della grazia, della vita, dell’amore.

Preghiamo perché tutto il mondo si lasci prendere per mano dal Salvatore.

don Giovanni Unterberger

 

 

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