(Mi 5, 1-4a; Ebr 10,5-10; Lc 1,39-45)
Duomo di Belluno, sabato 20 dicembre 2015
Sono centoquaranta i chilometri da Nazareth ad Ain Karem, il villaggio di Zaccaria ed Elisabetta. Elisabetta non era più giovanissima, tanto che ormai tutti pensavano che non avrebbe avuto figli. Elisabetta era sposata già da tempo con Zaccaria, ma non era mai diventata madre. Ma ecco che, a sorpresa, e in risposta del Cielo alle preghiere insistenti ed appassionate di Zaccaria, Elisabetta rimase incinta. Si trovava ora al sesto mese di gravidanza, e questa notizia fu comunicata a Maria il giorno dell’Annunciazione. L’angelo Gabriele quel giorno le disse: “Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio, e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile” (Lc 1,36). Questa notizia dell’angelo doveva aiutare Maria a fidarsi di Dio e a rispondere di ‘sì’ a ciò che Dio le domandava: diventare madre senza concorso d’uomo, diventare madre restando vergine; cosa impossibile alla natura, ma non a Dio, che può tutto. “Nulla è impossibile a Dio”, le disse l’angelo (Lc 1,37).
Maria doveva conoscere Elisabetta. Più volte Maria l’avrà incontrata a Gerusalemme in occasione dei pellegrinaggi per la festa di Pasqua e delle Capanne. Maria, adolescente, sarà andata più volte a Gerusalemme con Gioacchino ed Anna, i suoi pii genitori, in pellegrinaggio, in ossequio alla legge di Mosè, che prescriveva tali pellegrinaggi. E altrettanto avranno fatto Zaccaria ed Elisabetta, persone giuste ed osservanti di tutte le prescrizioni del Signore, come dice di loro il Vangelo (Lc 1,6). A Gerusalemme, in occasione dei pellegrinaggi, i parenti lontani si incontravano, coglievano l’occasione per stare insieme, per condividere esperienze, vicende, affetti.
Maria doveva conoscere Elisabetta, che le era parente. E quando seppe che era incinta ed aspettava un bambino, si dovette sentire sorgere in cuore il desiderio di andarla a trovare ed aiutare. La gravidanza per Elisabetta poteva non essere facile e senza problemi, data la sua età avanzata, ed un aiuto le poteva riuscire sommamente utile e gradito.
Maria partì. Si sarà unita ad una carovana di gente che partiva da Nazareth e dai villaggi vicini alla volta di Gerusalemme, e percorse i centotrenta chilometri che separavano Nazareth da Gerusalemme, per poi proseguire, da sola, per Ain Karem, distante da Gerusalemme dieci chilometri. Maria ed Elisabetta si incontrarono. Abbiamo sentito il racconto che ne ha fatto Luca.
E’ bello notare come il racconto inizi. Luca dice: “Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda, fino alla casa di Elisabetta”. Colpisce quell’ ‘alzarsi’ di Maria e quel suo ‘andare in fretta’ fino da Elisabetta. Elisabetta era incinta, agli ultimi mesi di gravidanza, che possiamo immaginare faticosi e pesanti; ma anche Maria era incinta, ed anche i primi mesi di gravidanza sono segnati da fastidi e disturbi. Ma Maria si alzò e andò in fretta ad aiutare Elisabetta. Non badò a sé, badò alla sua parente. Andò ‘in fretta’. E’ la fretta dell’amore, la fretta della generosità e del desiderio di servire. “L’amore non conosce lentezze”: dice sant’Ambrogio, commentando questo particolare del Vangelo.
Maria stava vivendo il suo Avvento; attendeva la nascita del suo bambino, il Figlio di Dio. E si preparò ad accoglierlo accogliendo il bisogno e la necessità di aiuto di Elisabetta; decentrandosi da sé e andando ‘in fretta’ ad offrirle il suo servizio. Centoquaranta chilometri all’andata, centoquaranta chilometri al ritorno; a piedi, o su di un carro. Tre mesi in casa della parente, a darle presenza, sostegno, aiuto.
Anche noi stiamo vivendo l’Avvento; anche noi attendiamo il Signore, anche noi vogliamo accoglierlo nel nostro cuore e nella nostra vita. Che anche per noi il modo più bello e più vero di preparaci ad accogliere Gesù che nasce sia quello di accogliere il problema, la difficoltà, la preoccupazione, la paura, il bisogno di compagnia e d’affetto, il bisogno di perdono, il bisogno di sicurezza, di pane, di pace dei nostri fratelli e delle nostre sorelle? “Chi accoglie uno di questi piccoli (e ‘piccoli’ sono tutti i bisognosi) accoglie me”, ha detto Gesù (Mc 9,37).
Accogliamolo già ora quel Gesù che si nasconde in ogni nostro prossimo, specialmente se bisognoso, e allora lo accoglieremo in modo vero anche a Natale.
don Giovanni Unterberger