Domenica della Sacra Famiglia (forma straordinaria)

(Col 3,12-17;   Lc 2,42-52)

Belluno, chiesa di S. Stefano, 11 gennaio 2016

Il Verbo di Dio, venendo sulla terra, ha voluto venirvi dentro una famiglia. Avrebbe potuto rendersi presente nel mondo e dentro la storia umana in un uomo già formato, già adulto, e invece scelse di nascere, crescere e vivere in una famiglia. Ciò non può essere senza un significato. Dio non fa le cose senza un senso. Nascendo e vivendo dentro una famiglia, il Figlio di Dio ha dato alla famiglia valore e importanza. La famiglia è realtà grande e significativa pensata da Dio per l’uomo.

Guardando alla famiglia di Giuseppe, di Maria e di Gesù, una cosa ci balza all’occhio, una cosa che ci può sembrare, a prima vista, strana, e, in un certo senso, addirittura irragionevole. Non era quella una famiglia speciale? Non aveva quella famiglia all’interno di sé il Figlio di Dio, Dio stesso? E Maria e Giuseppe non erano dei santi? Dio non avrebbe dovuto proteggere quella famiglia e risparmiarle problemi, difficoltà e dolori? E invece no; quella famiglia cominciò fin da subito a soffrire: Erode cercò di uccidere Gesù; Giuseppe e Maria con il bambino dovettero fuggire in Egitto e soggiornarvi lì da profughi; Simeone predisse a Maria una spada che le avrebbe trafitto l’anima.

Sofferenze e dolori dall’esterno, ma problemi e difficoltà anche all’interno. Il brano di Vangelo che abbiamo ora sentito proclamare ha evidenziato fatica e difficoltà di comunicazione all’interno della santa Famiglia. Gesù, adolescente, inizia a prendere le distanze da Giuseppe e Maria, rivendica una sua propria autonomia: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose dal Padre mio?”, dice ai suoi genitori che l’hanno cercato con la preoccupazione e l’angoscia nel cuore. Le parole di Gesù non furono comprese da Giuseppe e Maria, nota il Vangelo. Fatica di comunione, difficoltà di comunicazione.

E neanche la relazione tra Giuseppe e Maria dovette essere del tutto esente da difficoltà di comunicazione. Per quanto Giuseppe fosse santo, si trovava ad avere accanto e a dover condividere la vita con una persona santissima, con Maria l’immacolata, la concepita senza peccato originale, la ‘piena di grazia’, la tutta di Dio. Non dovette essere sempre tutto scontato e semplice tra Giuseppe e Maria, tra Maria e Giuseppe; dovettero avere la loro difficoltà. Nella santa Famiglia ci fu fatica. Ci furono certamente gioie e momenti sereni, ma ci fu anche fatica.

Ciò ci dice che la fatica, la difficoltà, la sofferenza sono compagne di viaggio normali della famiglia. E non è che perché una famiglia sperimenti difficoltà e fatica, perché la comunione all’interno di sé possa non essere sempre piena e perfetta, quella famiglia non sia ‘famiglia’! Non lo sarebbe stata allora neppure la famiglia di Nazareth. Dio è presente  e vede ‘famiglia’ anche là dove ci fosse limite, insufficienza, mancanza. Lo sforzo, piuttosto, è quello di ‘cercare’ la comunione.

A far perseverare la famiglia nel suo cammino è l’apertura verso l’alto, verso Dio. Giuseppe e Maria andavano ogni anno, a pasqua, in pellegrinaggio a Gerusalemme, ci ha detto il Vangelo; Gesù era tutto proteso verso le cose del Padre suo. E’ dal Signore che la famiglia attinge il suo bene, la sua salvezza; è da lui che la riceve. Sulla famiglia riposa una grande benedizione del Signore. Già fin dall’inizio il libro della Genesi, dopo aver raccontato la creazione dell’uomo e della donna, la prima coppia umana, dice: “Dio li benedisse” (Gn 1,28). Sulla famiglia riposa la benedizione del Signore, una benedizione che è pegno di grazie, di aiuti, di sostegno, di conforto, di forza di perseveranza. A quella benedizione la famiglia può sempre ritornare e attingere con fiducia e speranza.

La santa famiglia di Nazareth, ‘esperta nel soffrire’, come la definì papa Paolo VI, dia forza, coraggio, serenità ad ogni famiglia, anche nei momenti di fatica e della prova.

don Giovanni Unterberger

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