5a Domenica del Tempo ordinario (forma ordinaria)

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(Is 58,7-10:   1Cor 2,1-5;   Mt 5,13-16)

Duomo di Belluno, sabato 4 febbraio 2017

Come sempre, Gesù è immediato ed efficace nelle sue immagini; come quando parla di una pecora che si è allontanata dal gregge e si è perduta; di un figlio scapestrato che torna a casa; di una manciata di lievito che fa sollevare una grande quantità di farina; di un piccolo seme che dà origine ad un alto arbusto. Nel Vangelo di oggi egli paragona il cristiano al sale e alla luce; non poteva scegliere immagini più efficaci e più espressive per indicare ciò che il cristiano è ed è chiamato ad essere.

Il sale è un elemento importante, necessario all’organismo umano: contiene sodio, di cui il nostro corpo ha bisogno. Gli antichi Romani costruirono appositamente una via che collegava Roma con il mare Adriatico, la via Salaria, per il trasporto del sale. Durante la seconda guerra mondiale dai nostri paesi scendeva gente verso la pianura con oggetti di rame da barattare in cambio di sale. Il sale è prezioso; di esso abbiamo bisogno: alimenta l’organismo, conserva i cibi, dà loro sapore.

E la luce? Di luce hanno bisogno gli uomini, gli animali, le piante. Perfino un fiore, tenuto in una stanza, tende a piegarsi e a protendersi verso la finestra da cui entra la luce. La luce è necessaria alla vita. Tutti desideriamo la luce; e la luce, splendendo, chiama a sé, e dà vita.

Gesù, paragonando il cristiano al sale e alla luce, vuol fargli capire quanto egli sia importante, quanto il mondo abbia bisogno di lui; quanto il cristiano debba essere ‘cristiano’. Senza i cristiani il mondo sarebbe ben più povero e ben più in difficoltà. I cristiani sono chiamati ad essere ‘sale’ e ‘luce’ del mondo, aiuto di salvezza per il mondo.

Nasce di qui una duplice conseguenza: responsabilità e gioia. Responsabilità: da Gesù noi siamo stati raggiunti, siamo stati illuminati, siamo stati arricchiti di doni e di grazie; a questa luce e a queste grazie noi dobbiamo dare risposta, così che i non cristiani, o gli indifferenti, vedano in noi qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso, qualcosa di bello e di divino, e si sentano attratti; attratti fino a che a convertirsi. Pensiamo ai molti musulmani che stanno arrivando nelle nostre terre.

Abbiamo una grande responsabilità di fronte al mondo; “Vedano le vostre opere buone”, dice Gesù. In un altro passo del Vangelo Gesù dice: “Non praticate le vostre opere buone davanti agli uomini per essere da loro ammirati” (Mt 6,1), invitando all’umiltà e ad evitare qualsiasi superbia nell’agire e nel proporsi; ma dice anche: “Vedano le vostre opere buone”, cioè fate del bene, brillate davanti agli uomini per le opere di bontà che compite, così che tutti percepiscano che voi siete ‘sale’ e ‘luce’; che siete, per grazia e per la forza di Dio, quel ‘sale’ e quella ‘luce’ di cui essi hanno bisogno. E, -avverte Gesù- fate attenzione a non perdere in sapore; a non perdere in luminosità.

Responsabilità, dunque, ma anche gioia. La gioia di sapere di possedere un dono dentro di noi, di possedere una ricchezza da comunicare e da donare. Abbiamo la luce di Cristo dentro di noi, abbiamo il suo sapore, siamo il suo ‘profumo’, come dice san Paolo (cfr 2Cor 2,15). Il mondo ha bisogno di noi, e noi lo possiamo aiutare; noi, attraverso di noi, gli possiamo indicare e illuminare la strada da percorrere verso il paradiso; noi, attraverso di noi e attraverso la nostra vita cristiana, possiamo dare testimonianza di una vita che ha sapore, di una vita che ha senso, serenità e addirittura gioia; e che diventa invito, provocazione, richiamo buono e santo.

Gesù, in questo Vangelo, non ci domanda di compiere particolari opere missionarie; ci domanda semplicemente di essere sale saporito e luce che brilla; questa è già missione, questa è già testimonianza utile al mondo; il Signore, la nostra testimonianza, la farà arrivare, con la sua potenza, nel cuore degli uomini.

 

don Giovanni Unterberger

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