Domenica di Passione (forma straordinaria)

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(Ebr 9,11-15;   Gv 8,46-59)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 2 aprile 2017

I Giudei, adirati contro Gesù che avvertivano irriducibile nelle sue posizioni e nelle sue dottrine, pensarono di lapidarlo. Abbiamo sentito ora nel Vangelo: “Raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio”. I Giudei avrebbero voluto uccidere il Signore, e lì a poco vi riuscirono, ottenendo da Pilato che Gesù fosse messo in croce. In tal modo i Giudei contribuorono a che Gesù divenisse il grande ed eterno Sacerdote dell’umanità.

Chi è il sacerdote? Il sacerdote è colui che offre il sacrificio; è il mediatore tra Dio e gli uomini, tra gli uomini e Dio. Al tempo di Gesù, in Palestina, esisteva una classe sacerdotale numerosa; addirittura un’intera tribù tra le dodici tribù di Israele, la tribù di Levi, era interamente sacerdotale; tutti i suoi membri erano sacerdoti. Tali sacerdoti erano divisi in ventiquattro classi che si avvicendavano, con ritmo settimanale, nel servizio al tempio di Gerusalemme: offrivano i sacrifici, celebravano il culto, pregavano per il popolo.

Gesù non apparteneva alla tribù di Levi, apparteneva alla tribù di Giuda, e quindi non era sacerdote secondo gli ordinamenti giudaici, eppure l’epistola che abbiamo ascoltato ce lo ha proclamato ‘sacerdote’. “Fratelli -ci ha detto l’epistola- Cristo è venuto come sacerdote dei beni futuri”. L’epistola agli Ebrei proclama Cristo sacerdote perché Cristo compì il gesto proprio del sacerdote, offrì il sacrificio. Il sacrificio che egli offrì non fu sacrificio di capri e di vitelli, come erano i sacrifici dei sacerdoti ebrei, ma fu il sacrificio di se stesso, del suo corpo, della sua vita.

“E’ impossibile che il sangue di tori e di capri elimini i peccati -dice la lettera agli Ebrei- per questo entrando nel mondo Cristo disse: Tu, Padre, non hai voluto né sacrificio né offerte, né olocausti per i peccati, cose che vengono offerte secondo la legge, ma un corpo mi hai preparato; e io ho detto: Ecco, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà” (Ebr 10,4-5). Gesù ha offerto il sacrificio di se stesso. Non è entrato nel santuario di Gerusalemme col sangue di vittime animali, ma “è entrato nel santuario del cielo col proprio sangue, sangue che ci ha ottenuto una redenzione eterna” (Ebr 9,12).

Quel sangue, quel sacrificio, il dono di sé di Cristo sta continuamente davanti al Padre, e parla in nostro favore. “Cristo è sempre vivo in cielo ad intercedere per noi”, dice ancora la lettera agli Ebrei  (Ebr 7,25), e noi possiamo presentarci al Padre forti di quel sacrificio, fidenti in quel sacrificio.

Iniziamo oggi il Tempo di Passione; siamo invitati dalla Liturgia a fissare lo sguardo e il cuore su Cristo Sacerdote che va verso il suo sacrificio. Non vogliamo lasciare Gesù solo; vogliamo accompagnarlo; vogliamo unire al suo sacrificio i nostri sacrifici. Al suo Calvario vogliamo unire il nostro calvario. Il Calvario di Gesù culminò e fiorì nella Risurrezione; anche il nostro calvario fiorirà in risurrezione. Dio è fedele: non lascia la vita nella morte; non lascia il sacrificio senza salvezza.

don Giovanni Unterberger

 

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