15a domenica del Tempo Ordinario (forma ordinaria)

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(Am 7,12-15;   Ef ,3-14;   Mc 6,7-13)

Duomo di Belluno, sabato 14 luglio 2018

Tema della Liturgia della Parola di questa domenica è l’annuncio, la missione. Gesù, all’incirca alla metà della sua vita pubblica, dopo aver riunito attorno a sé i dodici apostoli, averli istruiti e introdotti nella conoscenza dei misteri di Dio, li inviò in missione. Fu, quella, una missione limitata nel tempo e nello spazio; una missione a tutto campo egli l’avrebbe affidata poi, più tardi,  prima di salire al cielo, quando avrebbe detto agli apostoli: “Andate in tutto il mondo e ammaestrate tutte le genti” (Mt 28,19). Questa, del Vangelo di oggi, è una missione circoscritta ad alcuni villaggi della Galilea, e per pochi giorni: da ciò si comprende il comando di Gesù: “Non prendete per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma calzate sandali e vestite una sola tunica”. E’ tuttavia un’indicazione per la missione di sempre, di tutti i tempi; ogni missione dev’essere caratterizzata da uno stile di sobrietà, di povertà, di distacco da interessi umani, e in particolare dal denaro.

Il contenuto della missione è un appello alla conversione: “Essi partirono e proclamarono che la gente si convertisse”. I missionari del Vangelo hanno questo compito; i sacerdoti, i predicatori, sono incaricati di invitare la gente a convertirsi, a staccarsi da un modo di vivere mondano, in cui Dio è assente, per aderire al Signore e instaurare con lui un rapporto personale e vitale. La missione della Chiesa non è, in primo luogo, quella di insegnare una dottrina, un pensiero; anche questo occorre; né di proporre ed esigere un determinato comportamento morale (anche questo è necessario), ma il suo compito primario e fondamentale è aiutare le persone ad incontrare la persona di Cristo. Questa è ‘la conversione’: volgersi alla persona di Cristo, fare di Cristo il centro della vita, fare sì che le giornate siano un vivere con lui, per lui, in lui, fino a dire con san Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

Questa è la salvezza dell’uomo; e i cristiani hanno il diritto di richiamare i sacerdoti e le guide spirituali qualora esse si spendessero in mille cose e in mille attività, ma fossero poco centrate sull’essenziale: “fare toccare Gesù alla gente”, come recentemente il vescovo di Catania ricordò, quale compito fondamentale, al vescovo novello di Patti da lui appena ordinato. E, d’altra parte, il cristiano può vedere quanto vera e profonda sia la sua conversione dalla misura in cui egli vive di Cristo. Da questa vita e amicizia con Cristo deriverà allora il desiderio, il bisogno, di vivere una vita buona, moralmente corretta, non per una legge da osservare, ma per un rapporto d’amore verso un Amico da fare contento e da non disgustare.

Ai suoi missionari, quelli della prima missione, ma a quelli di ogni missione, Gesù annuncia e preannuncia non solo successi e conversioni, ma anche rifiuti e persecuzioni: “Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro”. Questo gesto dello scuotersi la polvere dai piedi, nel costume ebraico, stava a significare la assoluta non responsabilità dei missionari del Vangelo riguardo al rifiuto di chi non avesse voluto accogliere il loro annuncio. Già anche il profeta Amos, di cui ci ha raccontato la prima lettura, era stato contestato e rifiutato. “Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”, ebbe a dire Gesù (Gv 15,20).  L’opposizione e la persecuzione non devono però fermare il missionario.

Un’opera colossale spetta alla Chiesa, anche oggi, come in ogni tempo: evangelizzare, annunciare Cristo, portare il mondo a Dio. E’ compito dei pastori, ma è compito e possibilità anche di ogni cristiano, di ogni fedele, con la propria vita e con la propria buona volontà.

don Giovanni Unterberger

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