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(Ef 3,13-21; Lc 14,1-11)
Belluno, chiesa di s. Pietro, 9 settembre 2018
Scribi e farisei assediavano Gesù con continue domande: “E’ lecito o no dare il tributo a Cesare?” (Mc 12,14); “E’ lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie?” (Mt 19,3); “Qual è il primo di tutti i comandamenti?” (Mc 12.28); “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?” (Mc 7,5). Erano domande volte a mettere in difficoltà Gesù, da cui egli però seppe mettersi al riparo e a cui seppe dare sapienti risposte.
Ma anche Gesù, di tanto in tanto, poneva delle domande ai suoi interlocutori: “Chi dite che io sia?” (Lc 9,20); “Come mai gli scribi dicono che il Messia è figlio di Davide?” (Mc 12,35); “Voi dite che io scaccio i demoni in nome di Beelzebul, ma come può Satana scacciare Satana?” (Mc 3,22-23); “Chi è più grande, colui che siede a tavola o colui che serve?” (Lc 22,27). Anche il brano di Vangelo che abbiamo ora ascoltato ci ha riportato due domande di Gesù: “E’ lecito o no guarire di sabato? Chi di voi, se gli è caduto un asino o un bue nel pozzo, non va subito a tirarlo fuori, in giorno di sabato?”.
Le domande di Gesù erano volte ad insegnare, a far riflettere, a spingere le persone a rientrare in se stesse e a darsi delle risposte vere, cercando in profondità. Le domande di Gesù erano per il bene delle persone, erano aiuto e stimolo a scoprire la verità, ciò che è giusto, ciò che è buono. Alle volte è più utile porre delle domande a una persona, che fornirle risposte e soluzioni già confezionate. Il porre delle domande costringe ad un lavoro, ad uno scavo nell’interiorità; e ciò che si conquista con tale lavoro assume particolare imponenza e autorità di fronte alla coscienza.
Gesù un giorno chiese ai suoi discepoli, e chiede anche a noi: “Perché mi chiamate ‘Signore, Signore’, e poi non fate ciò che dico?” (Lc 6,46). Questa domanda ci costringe ad esaminare la nostra vita, a considerare quanto sia coerente il nostro vivere con il nostro credere. Potrebbe accadere che crediamo in Dio, che lo preghiamo, ma che soffriamo di una specie di schizofrenia tra il credere e il vivere, e che la nostra vita non sia secondo quanto richiede la fede.
Gesù chiese ai suoi discepoli, e chiede anche a noi: “Quale vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?” (Mt 16,26). Con questa domanda Gesù ci esorta a considerare che cosa veramente sia importante, che cosa valga davvero nella vita, quali siano i beni da desiderare e da cercare di non perdere. Potremmo anche sbagliarci, considerare importante ciò che importante non è, e poco importante ciò che invece importante è.
Gesù chiese al malato della piscina di Betesda: “Vuoi guarire?” (Gv 56), e chiede anche a noi: ‘Vuoi guarire dai tuoi difetti, dalle cattive pieghe che ha preso la tua anima? Vuoi guarire dalle tue paure, dalle tue troppo insistenti preoccupazioni, da ciò che tende a scoraggiarti? Vieni a me che sono il medico, e so guarire ogni cuore malato’.
Gesù nell’Orto degli ulivi, prima di entrare in agonia, disse a Pietro, Giacomo e Giovanni; “La mia anima è triste fino alla morte; vegliate con me”. E tornato da loro e trovatili addormentati, chiese: “Non siete stai capaci di vegliare un’ora sola con me?” (Mt 26,38. 40). Questa domanda interpella la nostra capacità di preghiera, il nostro amore per Gesù, la capacità di passare del tempo con lui.
Il Vangelo è tutto punteggiato di domande di Gesù. Il testo nota che i suoi interlocutori, alle domande che egli poneva loro, talvolta non sapevano rispondere (cfr Mt 22,46; Lc 14,6) e talvolta non volevano rispondere (cfr Mt 21,23-27). Noi invece vogliamo lasciarci interpellare dalle domande del Signore: esse sono per il nostro bene e per la nostra crescita spirituale.
don Giovanni Unterberger