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(Is 50,5-9a; Giac 2,14-18; Mc 8,27-35)
Duomo di Belluno, sabato 15 settembre 2018
Con questo Vangelo si tocca qualcosa di grosso. Della vita cristiana si posso dire molte cose, tutte giuste, tutte buone; ma se non si arriva a ciò che dice questo Vangelo, si resta ai margini, ci si ferma ai dettagli, e non si arriva al cuore, all’essenza del cristianesimo. Qual è il cuore e l’essenza del cristianesimo? “Gesù cominciò ad insegnare loro -ci ha detto l’evangelista Marco- che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere”. Ecco il cuore e l’essenza del cristianesimo: Cristo ucciso, Cristo crocifisso, e risorto.
Ciò che fece problema, quel giorno, agli apostoli, e ciò che essi non avrebbero voluto sentirsi dire, non fu tanto il discorso della risurrezione, quanto il discorso della morte: Gesù sarebbe stato ucciso, Gesù sarebbe stato messo in croce. Pietro reagì vivacemente a quell’annuncio, prese Gesù in disparte e cominciò a rimproverarlo. Marco non riporta le parole di Pietro, le riporta Matteo: Pietro disse “Dio non voglia, Signore; questo non ti deve accadere!” (Mt 16,22). Pietro non conosceva ancora Gesù, non lo conosceva del tutto: lo conosceva come maestro, come taumaturgo operatore di miracoli, ma non come crocifisso, non come appeso ad una croce, per poi risorgere. Evidentemente la vita di Gesù non si concluse sulla croce; la croce fu l’apice della sua vita terrena, ma poi ci fu per lui la risurrezione, la vita senza fine, la gloria del paradiso, la vittoria sulla morte e su ogni forma di male.
Il cristianesimo non è la religione della croce, come ultimo termine; è la religione della risurrezione come ultimo termine; ma è la religione che contempla in sé anche la croce. Non c’è vero cristianesimo senza la croce; il Maestro e il Messia che il cristiano segue è un Messia crocifisso, poi risorto. E Gesù è onesto, è sincero, non tace e non vela la verità tutta intera; lo dice esplicitamente –l’abbiamo sentito: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Rinnegare se stesso è ‘croce’; dire di no alle proprie passioni cattive e ai propri istinti peccaminosi è ‘croce’; non seguire il mondo con la sua concupiscenza è ‘croce’; obbedire al Vangelo anche quando dice: perdona i tuoi nemici, fa’ del bene a chi ti ha fatto del male, dividi ciò che hai con i poveri, fatti samaritano al tuo prossimo bisognoso, è ‘croce’. E’ ‘croce’ accettare le sofferenze della vita come le ha accettate Gesù; portare e offrire a Dio i dolori e le angustie quotidiane come le ha offerte al Padre lui.
E tuttavia il cristianesimo non è la religione della tristezza, perché il seguire Gesù con la propria croce è fonte di pace, di serenità del cuore, addirittura di letizia. “Chi perderà la propria vita per causa mia -egli ha detto- la salverà”. E’ vero il titolo che papa Francesco ha dato alla sua prima Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, la gioia del Vangelo. Seguire il Vangelo è fonte di gioia, seguire il Signore è fonte di letizia, ma -non dimentichiamo- a quella gioia e a quella letizia si giunge attraverso la croce. Non c’è altra vera via. Ecco perché le famiglie cristiane hanno il Crocifisso nella loro casa; perché molti portano una piccola croce al collo; perché chi è nella sofferenza, nella fatica, nel dolore, guarda volentieri al Crocifisso per avere forza e conforto.
La croce non è l’esito; l’esito è la risurrezione, ma la via è la croce, la croce portata con Gesù; con lui che, avendo avuto bisogno di un cireneo nella sua passione, è pronto a farsi ‘cireneo’ ad ogni uomo che pena e che soffre.
don Giovanni Unterberger