27a domenica del Tempo Ordinario (forma ordinaria)

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(Gn 2,18-24;    Ebr 2,9-11;    Mc 10,2-16)

Duomo di Belluno, 6 ottobre 2018

Chissà come saranno rimasti i farisei nel sentirsi dire quelle parole da Gesù circa il matrimonio! Chissà se avranno colto amore, affetto, desiderio di indicare loro la strada giusta, la strada buona, la strada vera, oppure se avranno sentito quelle parole come inaccettabili, esagerate, assurde…  Sarà stato piuttosto così, dato che misero subito avanti un’obiezione, e un’obiezione di grosso calibro, chiamando in causa nientemeno che l’autorità di Mosè: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiare la propria moglie” (Dt 24,1).

Notiamo, di passaggio, che quel permesso di Mosè era solo per il marito nei confronti della moglie, e non per la moglie nei confronti del marito. E ciò in aperto contrasto con quanto aveva detto la Genesi, la quale, con grande acutezza di simbolo, nel raccontare l’origine della donna (l’abbiamo sentito nella prima lettura) narrava che il Signore aveva formato la donna da una costola dell’uomo. Un midrash ebraico commenta: ‘Dio non formò la donna dalla testa dell’uomo, perché la donna non deve dominare l’uomo; non la formò dai piedi dell’uomo, perché l’uomo non deve calpestare la donna; ma la formò da una costola dell’uomo, per dire che uomo e donna sono alla pari’. Dunque non era giusto che solo l’uomo potesse ripudiare la donna, ma Gesù andò molto oltre, e affermò che il ripudio non era lecito a nessuno, né all’uomo né alla donna: “Non può essere diviso  ciò che Dio ha congiunto”, disse.

L’indissolubilità del matrimonio non è una legge, come qualcuno può pensare, che si sovrappone dall’esterno al matrimonio, quasi un comandamento di Dio, e di conseguenza della Chiesa, che viene dal di fuori ad imporre qualcosa agli sposi, e come a incatenarli; ma è un’esigenza intrinseca al matrimonio stesso, un’esigenza dell’amore degli sposi uniti tra loro.

Come è fatto l’amore? Una delle caratteristiche dell’amore, dell’amore vero e maturo, è il ‘per sempre’. Amare ha come sinonimo ‘voler bene’, volere il bene dell’altra persona. Quando io dico: ‘Ti voglio bene’. dico ‘io voglio il tuo bene, voglio ciò che ti fa stare bene’. E ciò che fa stare bene una persona è il sentirsi amata, sentirsi accolta ed abbracciata. Ora, ogni persona sente il bisogno di essere amata non solo per un po’, ma per sempre. Un figlio sente il bisogno di essere amato per sempre dai genitori; un genitore sente il bisogno di essere amato per sempre dai figli; ma anche un semplice amico sente il bisogno di essere amato per sempre dagli amici e di non essere lasciato. Questa è la struttura dell’amore; prova ne è il fatto che il sentirsi abbandonati genera dolore, sofferenza, e che l’abbandonare viene avvertito come una debolezza dell’amore, un deficit d’amore.

Ciò vale in modo particolare per il matrimonio, in cui le persone si donano completamente l’una all’altra, a livello affettivo, sentimentale, spirituale, fisico. Una volta che una persona si è donata ad un’altra persona così, in tale misura, sente il bisogno di non essere più abbandonata, rifiutata, da quella persona; e chi ha accolto in sé, come dono d’amore, il dono totale di una persona, sente che l’amore gli chiede di onorare quel dono, senza più rifiutare chi glielo ha dato, pena il venir meno all’amore stesso. L’indissolubilità del matrimonio non è qualcosa, dunque, che gli viene messo addosso dal di fuori, ma è esigenza e dimensione strutturale del matrimonio in sé, realtà che corrisponde all’essere profondo delle persone, le quali sentono, ciascuna, il bisogno di non essere abbandonata, e il dovere di non abbandonare colui, colei, che ha amato. Un amore, dunque, ‘per sempre’. Il vivere l’indissolubilità può essere faticoso, e alle volte anche doloroso, ma rompere l’indissolubilità non è meno doloroso, e porta con sé, nel profondo, il senso d’essere venuti meno a qualcosa di grande, di importante; non lascia felici e nella pace.

Le parole, dunque, di Gesù: “Dall’inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una carne sola. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha unito”, sono parole che solo volevano ricordare all’uomo, alla donna, che cos’è il matrimonio, come esso sia in sé; e come solo se vissuto indissolubilmente, esso corrisponda alle più profonde esigenze e bisogni del cuore umano. Sono parole illuminanti, e anche confortanti, perché a quelle parole noi possiamo ricorrere ed aggrapparci, per avere grazia e la forza di viverle e praticarle.

don Giovanni Unterberger

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