Domenica di Quinquagesima (forma straordinaria)

Maestro della raccolta della manna – Guarigione del cieco di Gerico – 1475 ca.

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(1Cor 13,1-13;    Lc 18,31-43)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 23 febbraio 2020-02-17

Un midrash ebraico narra di un rabbino, che chiese ai ragazzi che stava istruendo nella legge di Dio: “Quando si può dire che, dopo la notte, sia spuntata la luce sulla terra e sia arrivato il giorno? “. Uno di essi rispose: “Quando si riesce a distinguere un melo da una palma”. “No -rispose il rabbino- non è ancora venuto il giorno, la luce”. “Quando -disse un secondo alunno- guardando in lontananza si riesce a distinguere un uomo da una donna”. “Non ancora”, affermò il rabbino. “Quando -aggiunse un terzo- si riesce a riconoscere in ogni persona un fratello, una sorella, da amare”. “Ecco, sì -asserì il rabbino- allora si può dire davvero che si è fatto giorno e che nel mondo è arrivata la luce”. L’amore è luce.

La parola ‘amore’ è molto usata, ma non sempre è correttamente intesa. Facilmente viene scambiata per emozione, sentimento, trasporto interiore. Ciò può accadere in particolare tra gli innamorati. Il sentimento e il trasporto interiore possono essere un aiuto all’amore, ma non lo sono propriamente. Sinonimo di ‘amare’ è ‘ti voglio bene’, ‘voglio il tuo bene’. Amare è soprattutto ed essenzialmente (anche se non solo) atto di volontà, è il volere il bene dell’altra persona. Può essere accompagnato dal sentimento, ma il sentimento potrebbe anche mancare, o essere venuto meno se c’era, ed esserci ancora l’amore, perché l’amore sta nel voler amare. Addirittura l’amore può accompagnarsi con sentimenti di antipatia e di repulsione, e sarebbe allora un amore altissimo, perché non schiavo del sentimento e del risentimento,  ma puro dono e cuore buono, cuore di Dio.

L’apostolo Paolo inviò ai cristiani di Corinto il trattato sull’amore che abbiamo sentito nell’epistola. Nulla di sentimentale in quel trattato, in quelle caratteristiche dell’amore! Forse che ci sarebbero sentimento e trasporto emotivo nel portare pazienza? “La carità è paziente”. Forse ci sarebbe trasporto emotivo nel non cercare il proprio interesse e nel non tenere conto del male ricevuto? “La carità non cerca il suo interesse, non tiene conto del male ricevuto”. Non ci sarebbe piuttosto fatica e vittoria su di sé, in un amore così? Così come nella carità “che tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”? Amare è voler amare.

Non ci nascondiamo che amare costa, e non ci viene sempre spontaneo; talvolta sì, ma molte volte no. Riconosciamo di essere deboli nell’amore e di dovervi crescere. Anche perché amare à la cosa più importante che ci sia; più del conoscere tutte le lingue del mondo ed essere persone di grande cultura; più della capacità di fare cose straordinarie, come spostare le montagne; più che essere ammirati per grandi gesti umanitari ma non compiuti per vero amore. Amare impegna.

Il Vangelo ci ha raccontato di un cieco che, a Gerico, sentito che stava passando Gesù, si mise a gridare verso di lui e a chiedergli di essere guarito. Gli dicevano di tacere: “lo rimproveravano perché tacesse”, dice il Vangelo, ma egli continuava a gridare, anzi gridava sempre più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!” Finché Gesù lo ascoltò e lo guarì. E’ con questa insistenza che noi dobbiamo chiedere al Signore che ci aiuti ad amare, ci faccia capaci di un amore grande, perseverante, che alle volte è richiesto di eroismo; perché soprattutto di amore hanno bisogno le famiglie, i gruppi, la Chiesa, il mondo, e ogni rapporto umano.

don Giovanni Unterberger

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