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(Rm 6,3-11; Mc 8,1-9)
Belluno, chiesa di s. Pietro, 12 luglio 2020
“Sii ciò che sei” è il titolo di un libro che riporta il pensiero di un mistico indiano, Ramàna Mahàrsi, morto nel 1950, e vissuto, dall’età di 17 anni, ai piedi della montagna sacra Arunachala, in India. “Sii ciò che sei”esprime il desiderio di conoscere in profondità se stessi, perché la vera propria essenza non sfugga all’uomo, ed egli non viva lontano da ciò che veramente egli è. Ciò non lo renderebbe felice.
Queste parole, “Sii ciò che sei”, possono ben essere prese a sintesi del contenuto dell’epistola che abbiamo ora ascoltato, una pagina densissima e di non immediata comprensione. San Paolo alle volte, nei suoi scritti, è involuto e quasi ermetico. Nelle poche righe dell’epistola, con rapide pennellate, egli abbozza l’identikit, la realtà vera del cristiano.
Chi è il cristiano? Troppo spesso il cristiano si concepisce e si auto-comprende come qualcosa a sé, staccato da Cristo. Sì, seguace di Cristo, discepolo di Cristo, impegnato a vivere secondo Cristo, ma staccato da lui, non un tutt’uno con lui, non unito strettamente a lui: non si comprende, cioè, nella vera dimensione e non sa chi veramente egli sia.
L’apostolo dice: “Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo (cioè ‘immersi’ in Cristo, perché battezzare vuol dire immergere) siamo stati battezzati (immersi) nella sua morte? e se siamo stati immersi nella sua morte, lo saremo anche nella sua risurrezione?”. L’apostolo Paolo sta dicendo una cosa strepitosa: noi, battezzati, non esistiamo radicati semplicemente in noi stessi; il nostro essere non esiste a sé; è stato immerso e come catapultato, in forza del battesimo, in Cristo, nella sua persona, e in lui morto e risorto; noi ormai esistiamo e viviamo in quella morte e in quella risurrezione, beneficiando di esse, attingendo di continuo le grazie di quella morte e di quella risurrezione, come per osmosi. Difatti -continua l’apostolo Paolo- noi “non siamo più schiavi del peccato”, perché i nostri peccati commessi vengono distrutti dalla morte in croce di Gesù, nella quale siamo immersi; e siamo in grado di “camminare in una vita nuova”, in una vita buona e virtuosa, perché la vita di Cristo risorto si comunica a noi, essendo noi immersi in essa.
“Sii ciò che sei” è l’esortazione. Prendi coscienza, o cristiano, che tu sei in Cristo; che se affondi lo sguardo in te stesso, e scendi fin nel più profondo di te, tu trovi lui, trovi Cristo, trovi la sua morte che ti perdona i peccati, trovi la sua risurrezione che ti fa vivere in santità; trovi il Signore, che col battesimo ti ha accolto in sé e si è fatto tua dimora. Tu esisti in lui! Possiedono i cristiani questa consapevolezza? la possediamo noi? Ci cogliamo viventi in Cristo, come sue membra?
“Sii ciò che sei”. Ciò che siamo ci chiede di vivere in corrispondenza e in armonia con ciò che siamo. Se siamo in Cristo, ci è chiesto di vivere come Cristo, secondo Cristo, come Cristo vivrebbe. Forse che ci può essere statura più alta, data alla nostra vita, della statura di Cristo? Immersi in Cristo, questa statura ci può essere da lui donata. Ma occorre che ricordiamo che ‘siamo in lui’; che la realtà non è: ‘io sono qui e lui è là’, ma che siamo con lui una cosa sola; e da lui, il Signore, il Salvatore, l’Onnipotente e l’Amore, possiamo attingere ogni grazia e forza.
don Giovanni Unterberger