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(Sap 12,13. 16-19; Rm 8,26-27; Mt13,24-43)
Duomo di Belluno, 19 luglio 2020
Un giornalista si recò a Calcutta ad incontrare Madre Teresa e a farle un’intervista. Le pose varie domande, e a un certo punto le disse: “Madre, se guardiamo la Chiesa, vediamo che non è proprio perfetta; che cosa cambierebbe lei della Chiesa?” E Madre Teresa: “Me e Lei; cominciamo da noi due…”
La parabola della zizzania nel campo mette a nudo un istinto e una tendenza che l’uomo porta profondamente radicata in cuore: quella di cambiare le cose attorno e fuori di sé; cose e persone. In effetti c’è un’infinità di cose che non vanno bene e andrebbero cambiate, migliorate. E ciascuno ha un compito, una responsabilità al riguardo, in base alla propria vocazione e alla propria missione. Gesù nel Vangelo parla anche di correzione fraterna, e la presenta quale preciso dovere di carità (cfr Mt 18,15-17); forse che un genitore non ha il dovere di correggere i figli, un insegnate di correggere gli alunni, e un pastore d’anime di richiamare i fedeli ad un corretto modo di vivere? Ciò che Gesù vuole insegnarci con la parabola della zizzania è ad evitare uno zelo eccessivo e intempestivo nel voler correggere; un correggere perché tutto sia a posto e perfetto secondo ciò che è bene e giusto, ma senza tenere conto sufficientemente della persona che si vuole correggere, della sua concreta situazione, del passo preciso che in quel momento essa è in grado di fare; con pazienza, e sapendo anche attendere e dare tempo. I servi della parabola dicono pieni di zelo: “Padrone, vuoi che andiamo a sradicare e a raccogliere la zizzania dal campo?” E il padrone a loro: “No, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano”. Certe correzioni mal fatte, pur con buone intenzioni, procurano più danni che vantaggi. Impariamo dal Signore, che non demorde dal presentare e proporre la perfezione, e nello stesso tempo ha grande rispetto, pazienza e capacità di attendere, con fiducia.
C’è tuttavia un campo da cui possiamo cercare di strappare la zizzania: siamo noi, la nostra vita, il nostro cuore. A questo campo possiamo mettere mano. “Iniziamo da me e da Lei a riformare la Chiesa”, disse Madre Teresa al giornalista che la intervistava. E’ significativo che l’evangelista Matteo abbia inserito, tra la parabola della zizzania e la sua spiegazione, due altre parabole: del granello di senape e del lievito, come a dire: siate voi quel granello di senape, siate voi quel lievito. Cioè siate realtà buona, ben fatta e ben costruita, così da portare bene là dove siete, così da bonificare il campo pur pieno di zizzania. Charles Peguy nota con acutezza: “C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. E Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere e interpellare la cattiveria dei tempi. Egli tagliò corto. In un modo molto semplice. Facendo il Cristianesimo. Egli non si mise a incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo; salvò il mondo”.
E’ ciò che è chiamato a fare il cristiano: correggere ciò che è giusto correggere, e correggere nel modo giusto, come Dio correggerebbe; ma senza dimenticare ancor più di sforzarsi di correggere se stesso, di coltivare il proprio campo, di estirpare i vizi e i difetti che porta in sé. Questo è il compito primario, non delegabile a nessuno; o lo faccio io, o non lo fa nessuno al mio posto. E non sarebbe il massimo che io avessi fatto degli altri un giardino, mentre io fossi rimasto steppa, deserto, acquitrino. C’è un mezzo utilissimo per bonificare se stessi, oltre alla Confessione frequente: è la pratica dell’esame di coscienza quotidiano. Alla sera, prima di chiudere gli occhi e terminare la giornata, raccogliersi alcuni istanti, mettersi alla presenza di Dio, e rivedere alla luce del Signore il giorno trascorso; vedere il bene compiuto per ringraziare, vedere il male compiuto per pentirsene, chiedere perdono, e proporre di migliorare.
C’è zizzania attorno a noi e in noi; cominciamo da noi; ricordando l’avvertimento-invito di Gesù: “Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Mt 7,5).
don Giovanni Unterberger