Domenica di Settuagesima

Jacob Willemszoon de Wet – Parabola dei lavoratori della vigna – metà del secolo XVI

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( 1 Cor 9,24-27; 10,1-5;   Mt 20,1-16)

Belluno, chiesa di S. Pietro 31 gennaio 2021

Nella sua omelia della domenica di Settuagesima dell’anno 1965, il santo papa Paolo VI offriva ai fedeli che quel giorno lo ascoltavano, e oggi  a noi, un’indicazione di carattere liturgico-spirituale particolarmente illuminante; disse: “Nel tempo di Natale, appena concluso, noi abbiamo meditato e tenuto lo sguardo fisso su Gesù, il Verbo incarnato disceso dal cielo per la nostra salvezza; con oggi, inizio del tempo di Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima, che prelude  e prepara alla Quaresima, noi siamo invitati dalla Chiesa a volgere lo sguardo su di noi, sul cammino di salvezza che siamo chiamati a compiere. Un cammino impegnativo, che domanda sforzo e fatica, segnati come siamo dalle conseguenze del peccato d’origine consumato nell’Eden dai nostri progenitori”. La salvezza portata da Gesù, cioè -dice il papa- ha bisogno di essere accolta, favorita, e fatta propria da ciascun fedele.

E’ a questo che invita l’apostolo Paolo con l’epistola che abbiamo ascoltato. Ci esorta a vivere da atleti; non tanto da atleti di discipline fisiche, anche se nel suo dire egli prende spunto da quelle (la corsa, il pugilato), quanto piuttosto da atleti nelle discipline spirituali, nella vita dello spirito. “Ogni atleta è disciplinato in tutto”, dice l’apostolo. E’ necessario ‘ordine’ nella vita, è necessaria ‘disciplina’; quella disciplina che dispone le cose secondo il loro giusto e vero valore.

Il filosofo cristiano Blaise Pascal osserva, in una sua massima particolarmente acuta: “La sensibilità dell’uomo per le cose piccole e l’insensibilità per le cose grandi è indizio di uno strano pervertimento”. Non è poi così lontano il rischio di dare importanza eccessiva a cose piccole, cose che non hanno grande valore, e non dare l’importanza necessaria alle cose che, invece, ne hanno molto. Sbaglierebbe, ad esempio, chi si gloriasse di discendere da famiglia nobile, o di avere particolare fama in società, e non si ricordasse di essere figlio di Dio. Sbaglierebbe chi si preoccupasse molto del modo di vestire, di come vestire quando va tra la gente, e non fosse altrettanto preoccupato, anzi di più, di rivestirsi, nella vita, del Signore Gesù, come invita san Paolo nella lettera ai Romani (Rm 13,14). Non adotterebbe giusta disciplina chi si occupasse molto di tenere in ordine la casa (cosa che, evidentemente, va fatta), e non si occupasse altrettanto d tenere in ordine la propria vita, il proprio cuore, che è tempio e dimora dello Spirito Santo (cfr 1Cor 6,19). E non sarebbe giusta disciplina trascurare la preghiera per un eccessivo attivismo; Dio non va messo al primo posto? E’ ‘pervertimento’ -dice Pascal- essere eccessivamente sensibili alle cose piccole, e non sufficientemente sensibili alle cose grandi, alle cose davvero importanti, alle cose eterne.

A questa ‘disciplina’ siamo chiamati; disciplina che costa. La parola che san Paolo usa per dire ‘atleta’, quando dice: “ogni atleta è disciplinato in tutto”, è ‘agonizòmenos’ ( ̓αγωνιζόμενος ), che significa ‘lottatore’. L’atleta è un lottatore, deve lottare; la disciplina di cui abbiamo parlato costa e richiede fatica, combattimento. Ma è per una vittoria, per una vita bella, santa, ben riuscita. Ci attende la corona, e non una semplice corona d’alloro, che appassisce.

Il Vangelo ci ha raccontato del padrone di una vigna che ha chiamato operai per la sua vigna a varie ore del giorno; è segno di Dio che chiama ad ogni età della vita. Ha chiamato anche noi, nella fanciullezza, nell’adolescenza, nella giovinezza, nell’età matura, e ci chiama ancor oggi, ad essere ‘atleti’, lottatori, che mettono ordine, disciplina nella propria vita. Gli daremo buona risposta.

don Giovanni Unterberger

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