C’è un ‘ricordare’ che non è solo ricordare, un ‘memoriale’ che non è un semplice richiamare alla memoria. “Ricordi quella volta che andammo in montagna? Quanta fatica…, ma che meraviglioso panorama lassù!”. Viene ricordata una piacevole ascensione compiuta, ma che non è più attuale e presente ora, bensì definitivamente confinata nel passato. Quel ricordo non riproduce e non pone nuovamente in essere, nel momento del ricordo, la salita in montagna. Ciò che è accaduto, è accaduto; non è più presente ora, …se non nel ricordo.
Il popolo di Israele al tempo di Gesù, e ancor oggi, celebra ogni anno, il 14 del mese di Nisan (corrispondente al nostro marzo-aprile), la cena pasquale, che fa memoria della liberazione degli ebrei dalla schiavitù dell’Egitto. In essa si consuma l’agnello, si mangiano pani azzimi, legumi, una salsa particolare, si beve del vino, e si leggono i capitoli del libro dell’Esodo che raccontano l’uscita degli antichi padri dall’Egitto (Es 13,17 – 15,21), oltre ad altri testi biblici (Dt 6,20-25; Dt 26,5-11; Gc 24,2-13) e si cantano alcuni salmi (Salmi 113-118). Nel corso della cena il membro più giovane della famiglia chiede: “Che significa questo rito? Che senso ha ciò che stiamo facendo?”, e il padre di famiglia risponde: “E’ il sacrificio della pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli israeliti in Egitto, quando colpì l’Egitto e salvò le nostre case” (Es 12,27); “In quel giorno tu istruirai tuo figlio: ‘E’ a causa di quanto ha fatto il Signore per noi, quando siamo usciti dall’Egitto’” (Es 13,8).
Un importante scritto ebraico, la Mishnàh, commenta: “Di generazione in generazione è un dovere per l’israelita considerarsi come se lui stesso fosse uscito dall’Egitto. Non solo i nostri padri JHWH salvò, ma anche noi stessi, in loro, egli salvò; perché è detto: ‘ci fece uscire da laggiù, per condurci e darci il paese che ai nostri padri egli aveva giurato’”. Celebrare la pasqua, per gli ebrei, significava rivivere la notte dell’esodo, uscire essi stessi dall’Egitto a libertà, sentirsi, in quel momento, salvati dalla schiavitù. E’ il celebre concetto ebraico dello ‘zikkaròn’ ( ןֺורָּכׅז ), un ‘ricordo’ che contiene e ri-presenta la realtà ricordata.
Ciò che era nel simbolo per la pasqua ebraica, lo è nella realtà per la Cena pasquale cristiana. La vigilia della sua passione e morte Gesù prese del pane e disse: “Questo è il mio corpo che è dato per voi”; prese del vino e disse: “Questo è il mio sangue versato per molti” (Lc 22,19; Mc 14,24), trasformando quel pane e quel vino, per la sua potenza divina, nel suo corpo, che il giorno seguente sarebbe stato immolato sulla croce, e nel suo sangue, che all’indomani sarebbe stato versato. In tal modo, quel pane e quel vino consacrati vennero a contenere in sé il sacrificio della croce, e l’Ultima Cena venne a ‘contenere il Calvario’.
Alle parole: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue” Gesù aggiunse, rivolgendosi agli apostoli: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19), conferendo loro il potere di compiere quanto aveva compiuto lui. Ogni volta che vengono consacrati il pane e il vino, trasformati nel Corpo e nel Sangue del Signore, viene rinnovato e reso presente il gesto di Gesù di quell’ultima sera, viene ‘ripresentato’ e come ‘portato qui ed ora’ il sacrificio della croce del Signore. Ogni Santa Messa, rinnovazione di quel ‘gesto sacro’, non è pertanto il semplice ricordo, nel senso di puro richiamo alla mente, di una realtà passata confinata nel momento in cui fu posta, ma è il rendere quella realtà veramente e sostanzialmente presente ora. Chi partecipa alla Santa Messa sale sul Calvario, sta sotto la croce di Gesù, come sul Calvario, sotto la croce di Gesù, stettero quel giorno Maria, l’apostolo Giovanni, la Maddalena e le altre donne (cfr Gv 19,25-27).
Per esprimere questa pregnante e profonda realtà, la Chiesa è ricorsa ad una parola particolare, la parola ‘memoriale’, che essa usa in tutte le Messe subito dopo la Consacrazione del pane e del vino: “Celebrando il memoriale della passione, morte e risurrezione del Signore…”.; “In questo sacrificio, o Padre, celebriamo il memoriale della beata passione, della risurrezione del Cristo tuo Figlio, nostro Signore…”. ‘Memoriale’, dunque, e non semplice astratto ricordo!
Don Giovanni Unterberger