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(Is 55,6-9; Fil 1,20-27; Mt 20, 1-16)
sabato 23 settembre 2023, risalente al 20 settembre 2014
Quanto è lontano il modo di pensare di Dio dal nostro! O, meglio, quanto è lontano il nostro modo di pensare dal suo! I due pensieri sono distanti tra di loro – ci ha detto Isaia nella prima lettura – quanto sono distanti tra di loro il cielo e la terra; cioè molto!
Quante volte ci viene da lamentarci di Dio; quante volte non siamo contenti di lui, lo vorremmo diverso; vorremmo che agisse e intervenisse in modo diverso dentro la storia e dentro gli avvenimenti umani; dentro la nostra storia e dentro la storia delle persone a noi care! Avremmo tanti consigli da dare al Signore…
Oggi, col Vangelo che la liturgia ci offre da meditare, è lui, il Signore, a volerci educare a come lui pensa; e il punto è un punto preciso: verte intorno alla gratuità.
Noi, solitamente, ci muoviamo nell’orizzonte del “dovuto”. Tutto è dovuto; tutto dev’essere comperato, venduto, valutato, stimato, racchiuso in un prezzo e diventare motivo di scambio. Perfino un dono, un favore, fatto a una persona fa scattare in quella persona un “dovuto”: “devo contraccambiare!”
“Tu, padrone della vigna, se dai un denaro di paga a quelli che hanno lavorato solo un’ora, a noi, che abbiamo lavorato tutto il giorno, devi dare di più. Ci devi di più”.
Ecco l’orizzonte del “dovuto”.
Noi ci muoviamo solitamente in questo orizzonte, ma l’orizzonte del “dovuto” non è il vero orizzonte dell’uomo, non è l’orizzonte della verità dell’uomo.
La verità dell’uomo è che l’uomo nuota ed è immerso nell’oceano della gratuità. Il dramma è che l’uomo ha trasformato l’oceano della gratuità nell’orizzonte del “dovuto”; con la conseguenza che ha stravolto le cose e si è reso infelice.
Era proprio “dovuto” agli operai della prima ora, a quelli della seconda, della terza, della quarta ora, di essere chiamati a lavorare nella vigna di quel padrone? Non avrebbe potuto quel padrone chiamare altri, e lasciare loro disoccupati tutta la giornata, con la conseguenza che essi non avrebbero potuto avere il compenso, il denaro necessario per sfamare sé e la propria famiglia? Era proprio loro “dovuto” l’essere ingaggiati a lavorare nella vigna? Non fu forse un dono, una grazia, un favore, un “non dovuto” quello che a loro è capitato?
E allora perché sono passati dal “gratuito” al “dovuto”, fino a guardare con occhio torvo e cattivo il padrone della vigna che stava dando ai lavoratori dell’ultima ora lo stesso compenso che a loro? Per invidia, dice Gesù; perché il loro cuore non era buono.
Non è buono quel cuore, e non è illuminata quella mente, che ritiene di poter vantare diritti su ciò che è solo grazia e solo favore. “Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? – dice san Paolo – E se l’hai ricevuto, com’è che su di esso vanti diritti come se non l’avessi ricevuto?” (1 Cor 4,7).
Tutto ci è donato per grazia: la vita, il tempo, la salute, la paternità, la maternità, l’amicizia, il passato, il presente, il futuro… Ma noi mettiamo le mani su tutto ciò, e nel momento che ci venisse tolto, o anche solo diminuito, ci lamenteremmo col padrone, accuseremmo Dio stesso; “Dio, dovevi darci di più!”
Dovremmo invece rimanere in atteggiamento di grazie, capaci di riconoscere il dono, capaci di godere del dono.
La verità è che tutto è dono; il dimenticarlo, e il lasciare che spuntino in cuore pretese, è uscire dalla verità, e quindi dal bene.
Il rimanere con piena consapevolezza nell’orizzonte del “gratuito” ci aiuterà e ci renderà capaci di essere gratuiti noi a nostra volta con i nostri fratelli; ci permetterà di tenere rapporti gratuiti di misericordia, di perdono, di amore preveniente, di aiuto non richiesto, di solidarietà oltre misura.
Sarà solo il “gratuito” a salvare le relazioni tra gli uomini, perché il semplice “dovuto” porta facilmente e inevitabilmente a scontri e liti; ciò perché al fondo del “dovuto” c’è un cuore che non ama.
L’amore vero invece è gratuità; l’amore autentico è dono senza calcolo e misura. Del resto siamo stati salvati e redenti da un grande amore gratuito, l’amore di un Crocifisso!
don Giovanni Unterberger