2^ domenica di Quaresima – forma ordinaria

Tintoretto – Salita al Calvario – 1565-1567

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( Gn 22,1-2. 9a. 10-13. 15-18;   Rm 8,31b-34;   Mc 9,2-10)

Sabato 24 febbraio 2024, risalente al 28 febbraio 2015

Due monti: il monte Moria e il monte Tabor; e, in pù, un terzo monte, il monte Calvario, lasciato appena intravvedere nella parte finale del Vangelo che abbiamo ascoltato.

Tre monti, teatro di grandi cose, di grandi eventi. Chissà perché sui monti, i grandi eventi? Forse perché i monti si alzano verso il cielo, e sono in qualche modo più vicini a Dio?

Sul monte Moria il sacrificio di Abramo. L’autore sacro che compose il racconto del sacrificio di Abramo aveva due intenti, due messaggi da comunicare: voleva anzitutto mettere in risalto la fede di Abramo. Davvero Abramo ebbe una fede straordinaria! Dio gli promette un figlio, glielo concede a cento anni di età e gli assicura, attraverso quel figlio, una discendenza; e poi gli chiede di sacrificare il figlio! Un Dio assurdo. Abramo credette e obbedì a un Dio assurdo!

In realtà Dio non voleva l’uccisione di Isacco; tant’è vero che un angelo fermò il braccio di Abramo che con il coltello in mano stava per uccidere Isacco. E’ il secondo messaggio che l’autore sacro voleva trasmettere: Dio non vuole sacrifici umani, in netto contrasto con la pratica delle popolazioni pagane al tempo dell’antico Israele, le quali per ottenere dalle divinità grandi favori, arrivavano ad uccidere i propri figli. Dio vuole la fede, non sacrifici umani.

Dio però sopportò e accettò l’uccisione del proprio Figlio, del proprio unico Figlio, l’amato. Accettò tale uccisione per noi, per riconciliare e salvare noi, l’umanità. E’ il monte Calvario. Quel monte è lasciato intravvedere dalla finale del brano evangelico, là dove si accenna alla morte e alla risurrezione di Gesù.

Sul monte Calvario fu immolato il Figlio di Dio. Immolazione che il Padre non avrebbe mai voluto avvenisse, ma che nella sua infinita, totale e gratuita misericordia, egli trasformò in grazia, in perdono, in salvezza per l’umanità.

Tra i due monti il monte Tabor, il monte della trasfigurazione. Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse sul monte. Chissà perché loro tre soli, e non tutti i dodici. Pietro, Giacomo e Giovanni sono anche i tre apostoli che Gesù volle, a differenza degli altri nove, testimoni del miracolo della risurrezione della figlia di Giàiro (Mc 5,35-43), e i tre che egli volle più vicini a sé nell’Orto degli ulivi la sera dell’agonia (Mc 14,32-33). Forse perché Pietro doveva diventare poi il primo papa, Giacomo il responsabile della prima comunità cristiana di Gerusalemme sottoposta a persecuzione; e Giovanni era l’apostolo prediletto. Gesù volle rinforzare nella fede questi tre apostoli col dono della sua trasfigurazione Si mostrò loro nella gloria e nello splendore della divinità,; fece fare loro viva esperienza di chi egli veramente fosse: non solo uomo, ma Dio, il Figlio di Dio.

Gesù sarebbe morto sulla croce, ma quel Gesù appeso alla croce nudo era il Gesù del Tabor rivestito di vesti splendenti, bianchissime, bianche al punto che nessun lavandaio al mondo sarebbe riuscito a renderle così bianche. Gesù appeso alla croce aveva il capo coronato di spine e il volto sfigurato, ma quel volto sfigurato era il volto del Gesù del Tabor, volto luminoso e splendente come il sole. Gesù appeso alla croce aveva a destra e a sinistra due malfattori, ma era il Gesù del Tabor con accanto a sé, da una parte e dall’altra, Mosè ed Elia, che lo dicevano essere il Messia. Gesù sulla croce era offeso e ingiuriato dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo che lo deridevano e lo insultavano, ma era il Gesù del Tabor, sul quale risuonava la voce del Padre: “Questo è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” Il Gesù della croce era il Gesù del Tabor.

Bellissimo il Gesù del Tabor, ma non meno bello il Gesù del Calvario. “Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo”, dice di Gesù la Sacra Scrittura (Sal 45,3). Davvero dobbiamo riconoscere che Gesù sulla croce era bellissimo! Era bellissimo di una bellezza ineguagliabile, pur sfigurato, colpito, percosso, piagato, coperto di sudore, di sputi e di sangue. Era più bello che sul Tabor! Era bello della bellezza dell’amore; della bellezza del dono di sé.

A Pietro estasiato che sul Tabor esclamò; “Rabbì, è bello per noi stare qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”, Gesù fece capire che da quel monte lui, e i tre apostoli con lui, sarebbero dovuti scendere, per salire un altro monte, il monte della croce. Anche per il discepolo di Gesù il monte della croce, croce accettata ed offerta, è il monte della bellezza, il monte dello splendore e della gloria.

Non dimentichiamo che Gesù sul monte Calvario non solo morì, ma sul monte Calvario, dalla tomba in cui fu deposto, anche risorse. Il monte Calvario fu il suo vero Tabor, il monte della sua vera trasfigurazione, gloria e suprema bellezza.

Anche noi, suoi discepoli, saremo belli e gloriosi se, scesi dal Tabor, sapremo scalare il Calvario, il monte dell’amare e del dono di noi a Dio e ai fratelli.

don Giovanni Unterberger

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