12° Domenica dopo Pentecoste 2017 (forma straordinaria)

(2 Cor 3,4-9;  Lc 10,23-37)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 27 agosto 2017

C’è ‘vedere’ e ‘vedere’. C’è un vedere che vede e ‘passa oltre’, e c’è un vedere che vede e ‘si ferma’. “Un sacerdote che per caso percorreva la stessa via, visto quell’uomo, passò oltre. Anche un levita, passato vicino e avendolo visto, si allontanò. Ma un samaritano, che era in viaggio, passò vicino a lui e, vistolo, ne ebbe compassione”; si fermò e lo soccorse. C’è’vedere’ e ‘vedere’, c’è ‘occhio’ e ‘occhio’. Dietro l’occhio c’è il cuore. Com’è il nostro cuore? “Signore, toglici il cuore di pietra, e donaci un cuore di carne” (cfr Ez 36,26), perché è solo con un cuore ‘di carne’ che si vede bene, che si vede davvero!

L’insegnamento della parabola è chiaro e inequivocabile: è un appello senza veli alla carità. Il dottore della legge che aveva chiesto a Gesù: “Chi è il mio prossimo?” per sentire da Gesù fino a quale confine dovesse spingersi il suo dovere di amare, si sentì come inchiodare dalla frase di Gesù a conclusione della parabola: “Va’ e fa’ lostesso anche tu”. Erano parole che non lasciavano scampo! “Va’ e fa’ anche tu come ha fatto quel samaritano. Mi hai chiesto -gli disse Gesù- cosa devi fare per ottenere la vita eterna? Ebbene, ecco la risposta: ‘Va’ e fa’ come quel samaritano’ Non c’è altra via per avere la vita eterna, se non la carità. Avevo fame, avevo sete, ero nudo, pellegrino, ammalato, carcerato, e mi avete aiutato. Entrate in paradiso!” (cfr Mt 25, 31-46).

‘Vede’ l’occhio che non ha il cuore pieno di sé, ingombro e occupato tutto dal proprio ‘io’, dai propri bisogni, dai propri sogni, dai propri progetti, dai propri egoismi. ‘Vede’ l’occhio che coglie accanto a sé un ‘tu’, il ‘tu’ che gli mette davanti il Signore; il’tu’ che il Signore gli ha messo davanti in modo stabile: il marito, la moglie i figli, altre situazioni che si protraggono nel tempo; e il ‘tu’ che il Signore mette davanti in modo occasionale, grazie alle circostanze le più varie e le più inattese, come fu per il sacerdote, il levita e il samaritano che si trovarono, inaspettatamente, un ferito sula propria strada.

Ecco: ‘vedere’. “Signore, che io veda!” può essere la nostra preghiera, a somiglianza di quella del cieco del Vangelo (cfr Mc 10,51).

Ma c’è una seconda considerazione che va fatta, ed è importante. La parabola del buon samaritano è introdotta da alcune parole precise. Gesù chiese al dottore della legge: “Che cosa è scritto nella legge? che cosa vi leggi?” E quello: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutta la tua mente; e il prossimo tuo come te stesso”. La legge poneva al primo posto l’amore a Dio. Prima l’amore a Dio, e poi l’amore al prossimo. E’ vero che la parabola, in base alla provocazione del dottore della legge: “Chi è il mio prossimo?”, sviluppa l’aspetto dell’amore al prossimo, ma non va dimenticato che il comandamento primo della legge è l’amore a Dio. Prima l’amore a lui, e poi ai fratelli.

Dio, in quanto Essere supremo, merita di essere amato prima e più di ogni prossimo. Un ‘prima’ che non è solo di onore, ma che ha anche valore di sorgente. E’ l’amore a Dio la sorgente del vero amore al prossimo. Riesce ad amare veramente il prossimo con un amore che arriva fino al sacrificio e al dono totale di sè, con un amore che ama sempre, ama tutti e ama gratuitamente, solo colui che ama Dio e intrattiene con lui un profondo e personale rapporto. E’ da Dio che riceviamo la capacità di amare. Ce lo indica la croce con i suoi due bracci: non è il braccio orizzontale a sostenere quello verticale, ma è il braccio verticale a reggere quello orizzontale.

‘Va’ e fa’ lostesso anche tu’, ci dice oggi Gesù. Ama il tuo prossimo; amalo, perché questa è la garanzia del vero amore a Dio (cfr 1Gv 4,20-21); ma non dimenticare che riuscirai ad amare il prossimo nella misura in cui avrai amato Dio.

don Giovanni Unterberger

 

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